Di questo libro si dice, ma senza conferme, che abbia ispirato in qualche modo
Il Vecchio e il Mare di Hemingway. Non c'è modo migliore per creare false attese e rovinare così la lettura di un libro. In realtà il capolavoro di Hemingway non c'entra assolutamente nulla, fidatevi, e l'estrema brevità del libro (una cinquantina di pagine) non riesce a mitigare queste pretese che già il volumetto è concluso e le aspettative rimangono disattese. Di norma salto sempre le introduzioni ma la quarta di copertina o qualche notizia le leggo sempre per sapere che libro ho in mano.
Tolto ciò, resta una bella scrittura e una bella storia, ma non capisco il motivo per cui sia così tanto celebrato. Forse più per ragioni socio-culturali e storiche, perché ci troviamo di fronte a un mini-racconto carino ma nulla più e fin troppo breve.
Il tema della peregrinazione nel deserto bianco è sicuramente usato da Stefánsson nel suo
La Tristezza degli Angeli, ma del resto è un tema tipico della narrativa islandese, e per ovvii motivi. Nulla a che fare, ripeto, con Hemingway.
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