Che libro! Non faccio spoiler, del resto è il titolo stesso a suggerirlo, dicendo che questo viaggio in mare si trasformerà in catastrofe ma, come nei libri del grande Conrad (o di Ballard) il fatto è totalmente in secondo piano rispetto alla questione psicologica, pare quasi che la realtà ne sia solo un riflesso, una specie di idealismo applicato alla narrativa. Abbiamo uno scrittore, il sig. Panthurst, pieno di soldi che decide di imbarcarsi sulla Elsinore non si capisce bene perché. Vuole stare da solo, vuole scappare o nascondersi, vuole dimenticare, vuole isolarli, non sappiamo ma c'è qualcosa che non ci dice e che subito intuiamo; ci darà un po' fastidio questo personaggio arrogante e borioso e in parte anche o proprio perché dà la sensazione di non raccontarla tutta. Una volta che comincia a conoscere il personale e gli altri passeggeri della nave comincia a notare qualche problema: la ciurma è canaglia, i secondi sono forti e violenti ma misteriosi, il capitano è un enigma ambulante e la loquace figlia pure. E' però la ciurma che lo colpisce e, a parte i caratteri personali di ciascuno di loro, emergono collettivamente come una bruma minacciosa, da essi tutti insieme emana rabbia, violenza e malvagità e tutto ciò si intreccia in maniera confusa con il suo personale mistero, la demenza sognante del capitano, la forte allegria della figlia e tutto questo mentre attorno a loro svetta l'oceano, a tratti piatto e placido a tratti tonante e burrascoso, con tramonti abbacinanti e gli alisei che spingono un po' da sopra un po' da sotto. Piano piano ci ritroviamo immersi in questa vicenda che è una storia di repressione mentale che invaderà anche noi ma senza un quieto perché, non ci sono grandi discorsi a cavare una morale da tutta questa vicenda, accade e basta. Della vicenda della Elsinore emergerà solo pura violenza.
Maestosa, epica, la parte dei tentativi di attraversamento di Capo Horn, settimane e settimana di avanti e indietro per tempeste e tragedie, mi sentivo il gelo dell'acqua ghiacciata entrare fin nelle ossa, fin nel midollo e mi girava la testa come dopo esser sceso dalla barca quando l'equilibri in terra ferma continua a simulare il rollio del mare.
Si sarebbe meritato di finire nella mia
lista dei migliori non fosse per il finale che mi ha lasciato quasi incazzato, peccato. Perché finire così? Tutto il libro con un Pike sempre più presente e centrale, e alla fine non se ne fa nulla? Giustificherei un finale così solo in due casi: è un romanzo incompiuto, la colpa dunque è del destino; è un romanzo biografico, la colpa dunque è della banalità del reale. Nessuna delle due è valida però, il romanzo è di fantasia e London l'ha concluso, perché dunque concluderlo così?
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