Gran gran bel romanzo. Preludio: durante i primi voli spaziali alla ricerca di una nuova Terra viene scoperto un pianeta apparentemente abitabile, ma ciò che salta all'occhio è un punto incredibilmente luminoso sulla sua luna: si scopre che è un gigantesco telescopio dal diametro di svariati km, costruito levigando e adattando un cratere lunare con una tecnologia incredibilmente più avanti della nostra. Tuttavia si scopre che il pianeta è disabitato da circa 100.000 anni durante i quali movimenti tellurici e intemperie hanno semi-distrutto i resti di questa incredibile civiltà. Gli scavi cominciano ma emergono subito alcune anomalie di questa razza: innanzitutto, essa è passata da uno stadio cosiddetto "neolitico" alla conquista dello spazio in soli, circa, 3.000 anni. In secondo luogo, di tutte le loro scoperte c'è un solo prodotto: scoprono gli aerei e ne costruiscono uno, scoprono la navigazione e costruiscono una sola nave, devono andare sulla luna e costruiscono un solo razzo e, giuntivi, costruiscono un solo telescopio; le città sono costruite con lo stesso identico modello planimetrico, e continua così per ogni cosa che viene scoperta. Infine, sono scomparsi nel nulla, non c'è traccia di alcun evento catastrofico che l'abbia portata all'estinzione né segni di un abbandono volontario del pianeta. Da ciò, diciamo, parte il romanzo, muovendosi su vari piani: da un lato riflessioni anche scientifiche riguardo l'analisi dei resti degli alieni; riflessioni sulla società umana e la sua storia evolutiva ed organizzazione sociale; riflessioni sul volo spaziale, la spinta alla scoperta connaturata nell'uomo; infine, riflessioni sui singoli individui che, a partire da uno dei vari protagonisti, possono arrivare a riflessioni sul singolo individuo generalizzato, potremmo essere anche noi. C'è un fortissimo alone di mistero che grava sul lettore gestito a meraviglia da Brunner, mistero riguardo la sorte degli alieni ma anche la sorte stessa degli scienziati che li studiano, relegati in un remoto pianeta della galassia senza contatti con la patria Terra a parte una sola nave che vi arriva circa ogni 2 anni per scaglionarli ma che, dati i problemi della Terra - carestie, povertà, guerre - potrebbe anche non tornare mai più abbandonandoli nel cosmo. E' costruito a meraviglia e narrato a meraviglia, è la vera fantascienza che io adoro perché, con l'introduzione di questa distanze spaziali e temporali immani riesce a creare un pathos impossibile altrimenti e che pervade ogni riga e ogni riflessione, anche sociologico o antropologica, che ne viene fatta.
Interessante il paragrafo dove Ian spiega a Cathy come funziona lo studio delle lingue sconosciute, vince sicuramente il confronto - per pathos e profondità della riflessione linguistica - con
"Storie della tua vita" di Ted Chiang da cui è stato tratto il bel film Arrival, Brunner riesce a fare molto di più dove Chiang si perde in troppe esasperazioni.
Non è un libro perfetto, ci sono comunque dei punti deboli: la storia d'amore, ad esempio, col suo risvolto di rabbia dopo l'esperienza del simulacro, è un po' banale; e Ian, il classico Deus Ex Machina tanto caro a molta narrativa e, aimé, soprattutto a quella scientifica, artifizio per risolvere questioni in modo veloce e semplice alla faccia di Occam. Il più critico però forse è proprio costituito dagli alieni: per evidenziare la qualitativa immane distanza fra noi e loro e giocare quindi su queste essenziale incomprensibilità che riflette anche il problema della comprensione interpersonale in generale (Ian è difficile da capire, ad esempio, e allo stesso tempo fatica a farsi comprendere), Brunner si è trovato a dover gestire un'idea probabilmente troppo complessa che nel finale cerca di risolvere in maniera, concedetemelo, un po' debole che fa quasi sorridere per il suo semplicismo che si scontra terribilmente col mistero che questi astrusi esseri hanno sollevato per tutto il romanzo e del resto non riesce neanche nell'intento perché questo mistero alla fine rimane tale (per solo un esemplare per ogni cosa?); ma non è che forse possiamo tenerlo buono così, lasciando che quei poveri diavoli pensino di aver risolto un mistero che così può essere messo un po' da parte per affrontare i nuovi problemi che si trovano a fronteggiare? E' forse per caso, o nelle intenzioni di Brunner stesso, una soluzione psicologica più che reale, una razionalizzazione necessaria e in senso più freudiano che scientifico?
Sono comunque punti deboli che incidono poco o nulla sulla qualità del romanzo. Inoltre il finale è magico, ha una poesia nostalgica che ricorda il clima di abbandono di
Cronache Marziane di Bradbury o quella maestosità tramontante di
Dying of the light di Martin. Se leggete questa recensione non pensate ai soliti "spoiler", non pensate che vi abbia svelato troppo rovinando la suspense perché quando, come in questo caso, un libro è scritto bene, conoscerne la trama non rovina proprio nulla. Brunner ha creato un gioiello della lettura, non solo della fantascienza, ed è uno dei pochi scrittori che è riuscito ad affrontare bene un finale complesso ed a farlo con coraggio. Si merita indubbiamente di finire nella mia
lista dei migliori.
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