Di Carrère ho letto un solo libro, e almeno 20 anni fa: L'Avversario. Era una biografia narrata, la storia di un tizio che finse per anni di lavorare all'OMS mentre in realtà, giustificate da finte donazioni ed investimenti per farsi lo "stipendio", rubò soldi alla moglie e ai parenti e quando lo scoprirono ammazzò tutti, figli compresi, fingendo anche un tentato suicidio. Non sono un gran amante delle biografie ma quella mi piacque particolarmente perché la scrittura era magnifica e il titolo pure: "avversario" è spesso uno dei nomi con cui si chiama il Demonio. Centrare il titolo è a mio avviso una cosa difficilissima: o hai un gran culo, o sei un bravo scrittore. La lettura del libro mi convinse che Carrère è un bravo scrittore, e con questo La Settimana Bianca l'unico rammarico che mi resta è che abbandonò l'attività di romanziere per concentrarsi su quella di biografo perché anche qui il titolo, così puro - allegro - gioviale - adolescenziale, è centratissimo per il tremendo racconto che racchiude.
Non condivido le molte recensioni che ho letto in cui si parla di romanzo "noir" o di romanzo "dell'orrore": è un romanzo inquietante, spietato, terribile, sulla crescita di un bambino o meglio, su un momento ben preciso nel tempo e soprattutto esperienziale della crescita di questo bambino. In una settimana o meno si decide la sua vita, già segnata da timore e solitudine, con un insieme di eventi di cui René e la sorte del padre sono solo piccoli elementi. I suoi sogni, le sue attese, le sue debolezze e le sue menzogne grazie alla settimana bianca si concentrano tutte assieme a creare e subire una serie di precedenti che cambieranno il resto della sua vita, non c'è dubbio in peggio. Restiamo noi soli, con Nicolas di fronte alla porta di casa mentre Patrick gli lascia la mano e allo stesso tempo con Nicolas quasi trentenne con una misteriosa cartellina in mano.
Il finale aperto come sempre mi lascia un po'di delusione, è un espediente che non apprezzo mai.
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