Un libro godibile, non c'è dubbio anche se i continui spostamenti temporali tendono a fare un po' di confusione perché ovviamente ogni paragrafo si chiude con un'azione aperta. Dico "ovviamente" perché è un trucco per mantenere l'attenzione diventato non tanto banale quanto sopravvalutato e spesso esagerato come in questo caso dove il trucco è usato in 
ogni sacrosanto capitolo e i capitoli sono pure di poche pagine.
Subito da scacchista amatoriale ho cercato di seguire l'apertura della prima partita che compare e se non ricordo male è 1. e4 Cf6 2. e5 Cd6 3. d4 d6 - ora, nel romanzo viene detto che Emil/Orologiaio, il nero, sta mettendo in atto il 
Cannone di Alekhine e a me i conti non sono tornati perché 1... Cf6 è la 
Difesa Alekhine! Un cannone di Alekhine è una cosa completamente diversa e non si sviluppa mai in apertura perché è impossibile: è una struttura d'attacco costituita da due torri e la donna incolonnate con la donna in fondo, è chiaro che per costruire una struttura simile bisogna che la partita sia già nel mediogioco. Ma vabbé, ci può anche stare... Si vede ben di peggio in film, tv, pubblicità... Per non parlare delle sezioni del libro intitolate con espressioni scacchistiche (gambetto di donna, zugzwang,...) che però non hanno assolutamente senso e correlazione col testo... Malgrado ciò, ho continuato la lettura godibile e simpatica anche se troppo spesso spezzata da questi brevi capitolo che si interrompono sempre lasciando una questione aperta.
Insomma cosa abbiamo in questo libro? In rete di biografico ho trovato poco su questo autore, ma non ho dubbi che sia cattolico perché il messaggio di questo libro è la solita romantica rappresentazione del concetto di "perdono" cattolico, una collezione di bigotteria, frasi fatte, l'attestazione della grande superiorità del pensiero cattolico... Ora, ignoriamo per un attimo gli ultimi 1900 anni di disastro cattolico, massacri, genocidi fisici e culturali con l'evangelizzazione forzata, avidità, potere assoluto, guerre interne... Ignoriamo tutto ciò e consideriamo l'oggi. Consideriamo che solo in anni recenti il cattolicesimo ha rivisto la posizione di estrema ed inderogabile condanna degli ebrei (il cattolicesimo è pignolo nel sottolineare "dell'ebraismo") come assassini di Cristo (solo in anni recenti 
dopo 2000 anni); consideriamo il silenzio (per non dire altro) durante il nazismo, con tanto di complicità alla fuga dei gerarchi; consideriamo lo scandalo della pedofilia, il persistente amore dei soldi e del potere imperversante in tutte le caste clericali, le ingerenze politiche ed economiche, scandali e abusi. Consideriamo tutto ciò e mi venite a parlare della grande dottrina del perdono? Nonostante ciò Donoghue dà vita a una sceneggiata in cui il nazista, grazie alla fede, rinasce mentre l'ebreo, al solito rancoroso, rimane nel suo odio che pare quasi un difetto, qualcosa di ingiustificato finché non si piegherà al perdono cattolico. Mi ha infastidito molto questo punto di vista perché mi è parso un trucco, un espediente non narrativo ma retorico per impostare già da subito i precedenti, falsi, come già inglobante il finale messaggio che viene passato che è quello del valore del perdono. Io mi chiedo, è giusto chiedere a qualcuno di perdonare una cosa così immonda come il quasi riuscito genocidio degli ebrei in Europa? Vennero volontariamente e con un sistema quasi industriale presi e annichilizzati (non uccisi, è peggio) 
i due terzi degli ebrei europei.
Ma parliamone allora di questo "perdono". Secondo il cattolicesimo l'inferno è eterno quindi è una condanna di durata infinita. È così, che lo vogliate o no, la teologia cattolica è chiara; un professore italiano di diritto molti anni fa è stato scomunicato per aver detto che una vita limitata come quella umana non può, peccando, dare atto a una colpa illimitata quale è quella che merita di conseguenza una pena illimitata. Occhio, parlava dal punto di vista giuridico, era un'ipotesi, mica era un teologo! Però è stato scomunicato lo stesso per il fatto che criticando l'esistenza dell'inferno criticava le basi teoriche del cattolicesimo, tanto per dare un'idea di quanto sia così la situazione... Comunque, detto ciò, se l'inferno è una pena illimitata ed è dio (onnipotente) a istituirla, chiaramente non perdonando alcunché a chi vi è destinato, è chiaro che può benissimo darsi l'ipotesi che, dal punto di vista della limita vita umana, l'uomo possa dare seguito a una colpa limitata ma comunque maggiore, si potesse misurarla, di una vita; in questo contesto il perdono da parte 
del singolo individuo non è obbligatorio, non è dovuto, o no? Chi dice che quella colpa possa già meritare il perdono? Perché non perdonare una colpa sarebbe peccato? E una colpa come quella di Auschwitz fa indubbiamente parte di questa famiglia di colpe che meritano pene molto, molto lunghe direi. Se mi si rispondesse che il perdono va misurato sulla vita del singolo individuo che quindi ha tempo fino alla sua morte per perdonare, io farei notare che qui stiamo parlando di una colpa di un'intero popolo, e composto da più generazioni! Per non dire che isolare il tutto ai soli tedeschi è sbagliato, visto che attivamente al progetto collaborarono francesi, italiani, rumeni, ungheresi, polacchi... Perché la limitata vita di un singolo individuo dev'essere sufficiente a perdonare questo immane peccato?
Alcuni filosofi ebrei (ma non solo) hanno detto che dopo Auschwitz il concetto di dio va rivisto. A mio avviso andrebbe eliminato, è l'ultima prova che serviva a capire definitivamente che dio è pericoloso.
Mi insospettisce anche che mentre attraverso Emil abbiamo un ebraismo magico, come lettere lanciate come le rune (è la Cabala mistica, una parte dell'ebraismo, ma solo una parte), attraverso Paul abbiamo un cattolicesimo emotivamente puro, un confronto in cui il secondo vince a mani basse. E' stato intenzionale? Perché mettere Emil come un cabalista quando non ha alcun senso ai fini del romanzo, e non lasciarlo essere un banale ebreo laico?
Ci sono poi svariate cose che non tornano in questo "revisionismo morale" di Donoghue. Mette in bocca al Meissner del 44 la non conoscenza delle condizioni del campo di Auschwitz mentre, per stessa bocca sua, è appena entrata in funzione la Aktion Höss ovvero l'incremento delle eliminazioni persino oltre il numero finora attuabile per il massiccio arrivo di ebrei dall'Ungheria organizzato da Eichmann! Non è possibile che un alto ufficiale come Meissner non sapesse nulla di ciò! Per ipotizzare questa possibilità avrebbe dovuto tratteggiare Meissner come un perfetto cretino, un deficiente. Quando poi questo parla del bombardamento "vendicativo" degli alleati su Colonia mi ha fatto venire la pelle d'oca: vendicativo?
C'è anche un problema con la base scacchistica di questo romanzo e riguarda l'idea degli scacchi intesi come moralmente taumaturgici. Da un lato gli scacchisti non sono proprio esempi da prendere come individui moralmente superiori, questa è un'opinione personale ma basta leggersi qualche biografia per scoprire cose simpatiche su questi monomaniaci. Tolto ciò, questa qualità morale degli scacchi all'interno del romanzo perde totalmente valore e anzi trova un grosso scoglio proprio quando li inquadriamo nell'ambito del Nazismo e questo problema si chiama Alexander Alekhine! Uno dei più grandi giocatori di scacchi di sempre, campione del mondo, innovatore che portò la teoria scacchistica ai massimi livelli: moralmente una persona spregevole, alcolizzato, superbo, aderì attivamente al nazismo e fu personale amico di Hans Frank, Governatore della Polonia durante l'occupazione nazista, accusato di crimini contro l'umanità e condannato a morte per impiccagione; il soprannome Il Boia parla chiaro, nonché una sua frase piuttosto esplicita ovvero «Gli ebrei sono una razza che deve essere completamente sterminata». Questo Frank era buon amico di Alekhine, il quale scrisse vari pamphlet contro gli ebrei e gli scacchi giudaici piuttosto espliciti: "Scacchi giudei ed ariani” dove i secondi sono quelli moralmente validi e i primi quelli subdoli e quasi imbroglioni, oppure “Il concetto ariano di attacco" dove gli ebrei vengono definiti dediti alla difesa perché questa rispecchia la loro natura di esseri subdoli e falsi.
Ora, come mai qui la cosa non viene menzionata, considerando che Alekhine uno degli scacchisti presenti nell'Olimpo dei grandi giocatori? Non viene proprio citato, Alekhine non esiste sebbene Auschwitz fosse in Polonia! E finisse qua magari, ma non è così: Donoguhe mette in bocca a Meissner, ancora ai tempi di Auschwitz a metà '44, di non sapere che c'erano gli ebrei sapessero giocare a scacchi (non quelli del campo, si badi: in generale). A parte i vari pamphlet di Alekhine ma del resto nel mondo parallelo del romanzo questi non esiste, ma c'è da dire che buona fetta dei più grandi giocatori di quel periodo erano ebrei! Possibile saltare tutto ciò a piè pari? Tuttavia è chiedo, come gli scacchi avrebbero potuto salvarsi come pensati in questo libro ovvero come moralmente elevanti, guardandoli nella loro realtà ovvero come un banale gioco che può tranquillamente piegarsi a qualsiasi potere perché, appunto, è un mero gioco? Posso esistere gli scacchi senza i suoi giocatori, siano essi nazisti o comunisti? Questo Meissner però ignora molte cose, quando arrivana in massa ebrei dalla Ungheria ignora che sono gli ultimi ebrei sopravvissuti alle carneficine in loco, non parla dei gaswagen, non sottolinea che non esistono più né ebrei né villaggi ebrei (i diffusi Shtetl, tutti rasi al suolo) in Europa occidentale. Gli scacchi sono visti come un gioco intellettuale, è sicuramente un gioco complesso ma ciò non implica che chi vi sappia giocare sia moralmente superiore e, sinceramente, non dev'essere neanche intellettualmente; a proposito di John Nunn è stato Carlsen stesso a dire che per avere veramente successo negli scacchi non si può essere troppo intelligenti (e Nunn appunto lo è); come pure Einstein mise in guardia contro gli scacchi che minano l'intelligenza, a proposito del suo amico Lasker che, gran matematico, preferì diventare campione di scacchi lasciando al mondo grandi partite invece che grandi scoperte scientifiche. Il Go in Giappone è un gioco esteticamente strutturato, ritualizzato, infinitamente più complesso degli scacchi, e ricordiamo che i giapponesi in quegli anni commisero crimini pari a quelli nazisti e l'unica differenza è che li commettevano già da qualche decina d'anni.
Non so chi sia questo Donoghue, ma mi ha ricordo quel pirla della 
Diagonale Alekhine che si permette pure di ipotizzare gli ebrei come attuatori dell'assassinio di Alekhine, un'ipotesi talmente ridicola che, come tutte le ridicole cose antisemite, diventa pericolosa, poiché al mondo i deficienti sono molti più di coloro che riescono a pensare con la loro testa.
Tolto tutto ciò, il libro è leggibile, carino, sebbene un po' troppo sempliciotto a livello sentimentale, la sua struttura usa eccessivamente le divagazioni temporali, la morale è banale.
Quel disastro della Seconda Guerra Mondiale dovrebbe essere lasciato perdere dai romanzieri, perlomeno da quelli che vogliono vederci dei messaggi o vogliono crearne di nuovi; per quello ci sono le biografie.
 
	
	
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