Assieme a
Il Segno Rosso del Coraggio, è uno di quei libri che da anni lascio a prendere polvere ed era ora di smuoverla un po'. Grandiosa e tragica biografia di una guerra tanto inutile quanto illuminante. Dico illuminante perché mostra un soldato diverso rispetto ad altri libri di guerra più classici come il sopracitato o Junger o Babcenko: non c'è l'identità di se stesso come un militare, patriota o disilluso che sia, ma uno che
è lì e basta. Non c'è gloria per la bandiera, non c'è rabbia per la guerra, non c'è adrenalina d'azione, non c'è rifiuto dell'ideologia che così ha disposto. C'è solo abbandono. C'è che si è lì, e lì bisogna stare pregando di poter tornare. E' la guerra raccontata dalla prospettiva del detto "Italiani, brava gente" e proprio per questo fa tanta, tanta tristezza.
Scrittura magnifica, nella sua semplicità è però una gran conoscenza della purezza della lingua e raggiunge toni di lirismo mai retorici.
Paradossalmente, leggo su Wikipedia che, iniziata la sua esperienza con questo certezza "Non vi è stata una guerra più giusta di questa contro la Russia sovietica: sì, questa guerra che facciamo è come una crociata santa e sono contento di parteciparvi, anzi fortunato", la concluse con quest'altra "I russi erano dalla parte della ragione, e combattevano convinti di difendere la loro terra, la loro casa, le loro famiglie. I tedeschi d'altra parte erano convinti di combattere per il grande Reich. Noi non combattemmo né per Mussolini, né per il Re, ma per salvare le nostre vite".
Pensiamoci bene a questa cosa, perché ci fa capire che pena o meno, loro non soso stati mandati là, ma ci sono andati. Che poi abbiano capito, si siano pentiti, è un altro discorso; ma cosa avrebbero detto se la campagna avesse avuto successo?
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