Esordio letterario di Stig Dagerman del 1945, ovviamente arrivato in Italia solo nel 2021.
In ogni suo libro, Stig pittura un mondo terribile, che ti chiedi come ha fatto a sopravvivere quei pochi anni che vissuto prima del suicidio. In questo primo libro il morbo della malattia esistenziale che lo condannò è già presente in ogni suo aspetto. Un mondo spietato, dove le persone sono fantocci, marionette come la pattuglia che insegue Bill appena evaso, come Wera che accetta ciò che passa al convento, come Irene che vorrebbe essere apprezzata e per farlo tenta di imitare gli altri e farsi marionetta, o meglio marionetta lo è già ma tenta di farsi marionetta simile alle altre marionette che popolano il suo mondo. Solo il serpente vive, il serpente come simbolo ancestrale di lotta e vita di soppiatto. Terribile e demoralizzante, spietato ma - aimé - inevitabile. Tuttavia questo è solo l'inizio perché in realtà è solo il primo episodio di un... Cosa? Un romanzo? Una raccolta di racconti? Non si capisce. La prima parte è quasi una chiave, la seconda un insieme di stanze. Scrittura magnifica ma che questa strana struttura rende difficile la lettura, molto difficile. 220 pagine da seguire con concentrazione per capire dove si è. Restano comunque dei punti fissi: la caserma, la solitudine, la spietatezza umana. Il serpente fa solo qualche comparsa come uno spirito. Difficile, molti difficile. Volevo mettere 4 stelle ma mi rendo conto che il limite non è di Dagerman, ma mio.
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