Halldor Laxness
Bello, ma lento e incredibilmente pesante, più vicino a una parabola che a un romanzo. La vita di Álfgrímur è narrata in prima persona e ogni capitolo è una vicenda quasi a se stante, con alcuni temi che si prolungano nella progressione del romanzo. Tuttavia i dialoghi, gli avvenimenti, sono poco credibili e ciò non sarebbe neanche assurdo se però l'intera struttura del romanzo non si muovesse come una autobiografia.
Lo scrittore è bravo, la narrazione bella, ma i contenuti sono caotici e nel complesso diventa un libro molto molto pesante e noioso anche perché sono quasi 300 pagine. I capitoli, vista la dimensione del romanzo, sono a mio avviso troppo corti e lo spezzettano troppo spesso. C'è ironia e morale, ma forse sarebbe stato meglio se fare un romanzo finto-autobiografico o una novella fantastica, oppure forse - ancora meglio - una serie di racconti con un tema comune: Bjorn di Brekkukot. I racconti avrebbero forse reso più giustizia allo scopo iniziale del libro. Da metà in poi non vedevo l'ora che finisse, e quando un libro ispira questa angoscia, qualcosa è andato storto.
La parte finale è noiosissima e lunghissima e quasi insensata, lunghi e stupidi monologhi di personaggi caricaturali come i loro discorsi. Nessuna teleologia finale, nessuna morale da tirare, nessuna chiosa stile "romanzo di formazione".
Il curatore, nella Postfazione, tenta di dare un'interpretazione al racconto poiché è narrato in prima persona è la realtà è sfalsata nella interpretazione stessa della vita di Alfgrimur. Ci può stare. La potenza narrativa c'è. Ma è a mio avviso, quello di Laxness, un obiettivo troppo grande che non è riuscito a centrare. Bisogna anche dire, d'altro canto, che il romanzo è profondamente islandese e probabilmente un islandese, conscio della storia recente della sua terra, riuscirebbe a comprenderlo meglio.
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Il concerto dei pesci
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