Il primo memoir di un ostaggio israeliano rapito da Hamas e trattenuto a Gaza. Sua moglie Lianne, cittadina inglese, come sua figlia Noiya - 16 anni - e Yahel - 13 anni - ammazzate nel kibbutz mentre lui, ignaro di ciò, veniva portato a forza nei tunnel di Gaza dove ci resta 491 giorni perdendo quasi 40 chili: «Abbiamo esaurito le auto per prendere gli ostaggi, prendete solo gli uomini e uccidete donne e bambini» era l'ordine dato ai terroristi. Anche suo fratello Yossi è finito nei tunnel, ma lì è stato ammazzato. Eli Sharabi però scoprirà tutto quanto solo una volta rilasciato.
Appena arrivato a Gaza il veicolo sul quale viaggiava è stato circondato dalla folla di civili festanti che hanno tentato in ogni modo di linciare lui e gli altri rapiti, tra cui un thailandese di nome Khun che però non si sa che fine farà; sono i terroristi a proteggerli, a fatica e con forza, dal linciaggio e portarli in "salvo" in una moschea. Nella Moschea c'era uno dei centri di comando di Hamas dove è stato interrogato, quindi è stato messo in una casa di civili dove è stato un bel po', gente benestante, padre madre e figli che lo trattavamo come un oggetto. Successivamente da un'altra casa sotto un tappeto hanno tolto una botola, lì c'era l'ingresso ai tunnel, in una casa di civili: Eli si è terrorizzato "No nei tunnel per favore, nei tunnel no" dice a se stesso e ai rapitori ma non serve a nulla, non è un uomo è un oggetto che ha valore solo come merce di scambio. Viene portato sotto terra dove passerà tutta la prigionia. Qualche rapitore si comporta anche bene, altri male, con alcuni fa anche una specie di amicizia ma è un rapporto che entrambi sanno che, alla prima occasione, si può trasformare in ostilità. Se i prigionieri non servono più, li si elimina e chiuso il discorso. E Sharabi è anche piuttosto genuino da dire che non tenta la fuga perchè comunque, fuori da lì, dei civili di Gaza c'è da aver paura più che dei rapitori, dei terroristi, perché coi civili lui non servirebbe più neanche come merce di scambio è sarebbe immediatamente linciato. Quando è stato rapito e portato a Gaza i terroristi hanno dovuto lottare perché i civili non lo prendessero e facessero a pezzi e successivamente quelle due o tre volte che viene spostato da un tunnel all'altro devono camuffarlo e dirgli non parlare con nessuno, non guardare nessuno, non aprire bocca; paradossalmente i suoi rapitori diventano i suoi protettori, si può dire i suoi papponi. Da mangiare non c'era per lui ma i terroristi ne avevano a pacchi come ne avevano, stando ai loro stessi filmati, poco tempo fa quando qui già i dementi parlavano di carestia, cibo mandato dall'Unrwa, dall'Onu ma che ai prigionieri non andava: «Dozzine e dozzine di scatole pagate dai vostri governi. Nutrivano i terroristi che mi hanno torturato e hanno assassinato la mia famiglia. Mangiavano molti pasti al giorno dagli aiuti dell'ONU di fronte a noi» dirà in seguito. Incontra altri prigionieri, qualcuno all'inizio della detenzione viene poi portato via, lui pensa - gli dicono - che verrà liberato per un qualche accordo ma solo alla fine scoprirà che invece sono stati ammazzati. I terroristi di dividono in gerarchie: i capi, il vero e proprio Hamas, è quello che regola il tutto, va e viene, è cattivo e spietato ma astuto e sanno che i prigionieri sono valida merce di scambio, finché hanno valere. Poi ci sono i carcerieri, gente ignorante riempita di ideologia, religione e povertà, un mix terribile che li porta a essere convinti di essere nel giusto: sono anche disposi a parlare, ascoltare, dare qualcosa in più da mangiare, ma è gente che nella sua ignoranza può diventare letale. Infine i giovani che vengono usati come carne da macello, un po' come carcerieri nei tunnel per poi essere presi e spediti in superficie nella battaglia dalla quale saranno annientati.
Il libro è grosso ma non fatevi intimorire, il carattere è più grande del normale e di conseguenza l'interlinea quindi va via abbastanza velocemente. E' un libro semplice e diretto, non è scritto bene, del resto sembrano ricordi buttati giù in fretta e poi sistemati e questo fa di loro qualcosa di tragicamente genuino. Leggiamo storie di vita, incontriamo altri carcerati che verranno poi rilasciati ed altri che verranno invece brutalmente assassinati.
Importante è la panoramica che apre sui terroristi più che sugli ostaggi, la maggior parte di essi è gente normale che è stata indottrinata sfruttando la loro ignoranza: credono che gli israeliani siano ricchi perché hanno case e aziende ma non capiscono che i tunnel e le armi e le pensioni dei terroristi costano milioni che potrebbero invece finire in aziende e case a Gaza; credono che gli israeliani li vogliano tutti morti ma non capiscono che fanno confusione tra cittadini, politicanti e propaganda islamica; credono che tutti gli israeliani siano ebrei in senso religioso e non capiscono cos'è lo stato laico perché hanno il cervello plasmato dalla religione, noi occidentali siano decadenti privi di fede mentre gli ebrei sono peccatori miscredenti il che è peggio ma del resto come si fa a giudicare solo sulla base dell'ignoranza quando tutt'attorno vediamo persone che si formano un'idea politica da quotidiani che sono già politicamente schierati e dei quali leggono solo i titoli e da vignette che si trovano condivise suoi social, noi del glorioso occidente alfabetizzato? Come superare questo problema? Difficile perché nonostante ciò alla fin fine, pure nella loro ignoranza ideologicizzata, essi sanno che a Gaza i soldi ci sono - e tanti pure - per cui il loro indottrinamento si unisce alla convenienza, andare coi terroristi per motivi economici conviene. Per non parlare di quel motto "e poi hanno fatto anche cose buone" come ancora oggi si dice di Mussolini in Italia! Ignoranza e convenienza sono un binomio difficile da sradicare, lo vediamo qui da noi, come potrebbe essere differente in una situazione di religiosità pervasiva?
Nella sua schiettezza, nella sua semplicità, nella sua a volte ingenuità eroica Eli Sharabi riesce a fare qualcosa di straordinario: dare una visione umana di tutto e tutti. Ed è assolutamente ciò che
non mi aspettavo da questo libro e che invece me l'ha fatto apprezzare. E sappiate che
questo libro è diverso da come viene promosso! Non c'è una vera e proprio critica ai civili palestinesi come viene spesso detto, o meglio non c'è una generalizzazione di tesi. Non dice mai "A Gaza sono tutti cattivi", Eli si limiti alla sua propria esperienza e ai fatti e limitandosi a descrivere questi fatti, del resto parla bene di più di qualcuno dei suoi carcerieri e persino, quando tempo dopo ne ritrova uno che pensava morto in combattimento, ne è felice e si salutano calorosamente. Mi ero aspettato, da qualche introduzione letta online, che in sostanza emettesse dei giudizi ma no, no e no, non ce ne sono. E' un mero diario di prigionia.
"Se Sa'id fosse nato a Giaffa e cresciuto vicino a me, avremmo potuto essere buoni amici [è uno dei suoi carcerieri col quale ha un buon rapporto]. Nell'interagire con lui mi rendo conto pian piano di quanto sia profonda la sua ignoranza e di quanto malamente sta stato indottrinato. Lui e quelli come lui sono assolutamente certi che gli israeliani non dediderino altro che uccidere e fare del male. Soprattutto, mi è chiaro che nessuno di loro è così idealista come vorrebbe far credere. Non è che hanno finito per imbattersi nel terrorismo perché cercavano di dare un senso alla loro vita: si sono uniti a Hamas e hanno scelto di diventare terroristi per motivi economici. Hanno capito dove stavano i soldi e dove stata il potere e si sono messi su quella strada".
Curiosità: verso la fine c'è una scena che mi ha lasciato interdetto. In un tunnel i carcerieri stanno guardando la TV e Sharabi li scopre emozionati perché seguono le elezioni negli USA e sperano in una vittoria di Donald Trump! Mi sarei aspettato tutto il contrario, invece loro tifano apertamente e animosamente per lui perché sperano in una sua forzatura verso un accordo e mettere fine alla guerra! Al contrario, gli israeliani rapiti hanno paura di Trump perché temono possa portare a un inasprimento della guerra:
"Restiamo perplessi [ma] capiamo il loro ragionamento: sono affamati di cambiamento. Sono stufi di Biden e sperano che Trump riesca in qualche modo a smuovere le cose e a spingere verso un accordo".
Bella la scena finale, quando vengono liberati e salgono sul veicolo - corazzato - della Croce Rossa e il suo amico, a sorpresa, guarda quelli della Croce Rossa e con rabbia chiede, o meglio dice: «Dove eravate? Dove siete stati tutto questo tempo?» e la tizia non può che stare zitta.
Detto tutto ciò, a ripensarci a lettura finita, si sente come la sensazione che in questo libro qualcosa manchi. Non so. Forse è solo troppo reale.
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