È il Giappone coi suoi pro e i suoi contro; in passato ho già detto che sono diviso suo giapponesi, mi destano troppi sospetti. Sono capaci di passare dal Bushido a Pearl Harbour, hanno il culto di poesia e letteratura cinesi ma poi gli fanno guerre che neanche nei romanzi sono così feroci e brutali, scrivono libri sull'arte di dell'Ikebana per creare il vaso da fiori perfetto e poi sono tra i più gran razzisti che ci sono nel pianeta. Non sono capisci di muoversi nel mezzo delle cose, in ogni ambito devono raggiungere l'estremo. Gli piace il rock'n'roll? Ecco che si vestono come caricature di teddy boys. Gli piace il metal? Ecco che il trucco dei Kiss è persino riservato, a confronto loro. Vuoi un tè? Mezz'ora per prepararlo, venti minuti per berlo. Da un lato case con shoji e tatami dall'altro i micro-loculi che sei alto 1,90 come me neanche ci entri, e li curano pure.
Il metodo migliore per capire un giapponese è l'Haiku: poesie di tre versi, 5-7-5 sillabe, il tema è solitamente la natura ma possono spaziare anche ad altro ma ciò che li contraddistingue è la staticità; una visione di un prato fiorito con qualche ape che ronza e l'aria umida sotto il sole si cristallizza in 17 sillabe come se un pittore della scena avesse tratto un quadro e questo quadro l'avessi sezionato e semplificato all'inverosimile per poi tradurlo in questi tre versi. Gli haiku sono belli, mi piacciono, ho adorato due libri di
Basho che ho letto; ma il problema è che un certo tipo di letteratura giapponese che è appunto quella classica è sostanzialmente un haiku. Basho è così, se lo leggete tutto il libello è sostanzialmente l'anima di un haiku; vi è quasi completa immota staticità anche quando cammina. Così è per i giapponesi in ogni loro ambito perché così sono loro, estremi in tutto, e così è questo libro. Non è brutto, ma insomma, è circa la stessa struttura dei libri di Basho, una camminata senza apparente motivo in montagna e riflessioni e poesia. Tranne che in questo caso, mentre Basho riesce a tenere assieme una struttura statica perché anche lui si staticizza come un fotogramma e diventa una parte della composizione, in questo caso "l'artista" non riesce nel miracolo.
Lo prenderesti a sberle: per tutto il libro non c'è pagina in cui non dica "sono un artista" (a tratti gli scappa pure di essere il
miglior artista) ma non compone nulla, dice che dovrebbe scrivere una poesia e non lo fa, dice che dovrebbe fare un dipinto e non lo fa. Quelle tre o quattro volte che riesce a scrivere qualcosa dio ce ne scampi, un'haiku è difficile perché per creare qualcosa di bello in 17 sillabe serve veramente maestria linguistica ma lui ricade nella banalità. Se guardo la mia scrivani e c'è una penna e il computer posso sicuramente scrivere "Una penna lì | il tappo è lontano | lo schermo nero" ma non vale nulla, non è così facile e proprio la difficoltà di un haiku lo trasforma nella sua facilità. Anche il mio haiku può evocare qualcosa, non c'è dubbio, ma così estrapolato dal suo contesto è difficile, un haiku acquista potenza nel contesto, ma quelli dell'"artista" sono privi di questa forza. Disegni non ne fa, e il paradosso è che dice che lui "disegna all'occidentale", ma stranamente per tutto il libro non fa che emettere giudizi negativi contro gli occidentali. Strano, e un po' pusillanime dato che di continuo cita William Turner, Ofelia di Shakespeare, Leonardo da Vinci, Wordsworth, persino Lessing e Ibsen ma l'elenco continua con altri poeti e scrittori e artisti occidentali.
Nella sostanza questo ragazzo è semplicemente un indolente. La struttura è simile a Lo Stretto Sentiero di Basho ovvero passeggia in un sentiero montano e arriva in una casa da tè poi in una locanda e c'è pure un tempio con un bonzo ma Soseki vuole forse evidenziare la perdita d'identità del giapponese contro la invadente cultura occidentale sicché il bonzo è un cretino e nella locanda c'è una donna un po' perversa, però il gioco a mio avviso non gli riesce perché sorretto da questo sedicente artista in realtà un totale indolente presuntuoso. È un Des Esseintes privo di spina dorsale, privo di fondamenta, senza una casa da addobbare e soprattutto senza una base filosofica come quella che appunta sostiene A Rebours ma come pure quella di Basho, il Tao. Senza il Tao questo stile di scrittura non ha più senso.
Comunque, riguardo gli haiku: belli sicuramente e hanno tanto da dire ma basta! basta! Basta con questa loro esaltazione! A volte sento dire "Eh ma gli haiku, persino Bukowski"... ma li avete letti quelli di Bukowski almeno? A confronto di un Leopardi, un Carducci, messi a fianco di quella meraviglia assoluta che è La Pioggia nel Pineto, o di Baudelaire, o Saffo, o T.S. Eliot col suo inquietante La Terra Desolata, cosa ne resta? Un utile esercizio e basta. Persino Catullo nel suo Odi et Amo riesce ad essere persino più incisivo ed è nato più di 2.000 anni fa!
È il paradosso degli estremi che unisce l'estremo poeticismo decantato in questi scrittori giapponesi e le barbarie che dal bushido arrivano alle guerre con la Cina e i suoi perversi massacri, a Pearl Harbour, al cannibalismo. I giapponesi sono da temere perché questo loro culto degli estremi li può giustificare a qualsiasi cosa, e questo libro lo attesta: un perfetto statico esercizio stilistico.
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