Mario Vargas Llosa
Penso di non aver mai avuto così tanti problemi nel recensire un libro come in questo caso. Le prime pagine mi sono piaciute, poi è emerso qualche dubbio sulla qualità della narrazione. Ad esempio: quando ancora a Miraflores tutti scoprono la verità ovvero che Lucy non è cilena LLosa non lo dice apertamente, ma si intuisce che anche Ricardo la abbandona sebbene la narrazione, comunque in prima persona, attribuisca ad altri l'abbandono; oppure sul fatto che avanzando le pagine ti puoi chiedere cosa ne sia stato di Lily, scomparsa nel nulla. Sono però piccolezze e si sorvolano facilmente.
Mi ha cominciato ad annoiare subito dopo l'arrivo del narratore a Parigi, ho cominciato a trovare la scrittura prolissa e retorica in molti punti e un po' deludente. Ad esempio, a mio parere Paùl scompare in maniera troppo silente quando meritava qualche notizia in più. Del resto, tuttavia, il libro è narrato in prima persona da Ricardo e non c'è alcuno "spirito del racconto" che sappia cose in più rispetto a quelle che sa lui. E' attraverso i suoi occhi e la sua voce e i suoi pensieri che vediamo il mondo che lo circonda.
Mi ha poi dato fastidio perché la storia di questo amore non corrisposto che dura negli anni mi ha ricordato il maestoso Amore ai tempi del colera di Marquez e, sapendo (odio queste conoscenze prevenute che possono trasformarsi in preconcetti) del loro burrascoso rapporto, ho malamente pensato che fosse un tentativo di plagio. Quale errore...
Ho cominciato comunque ad odiare questo romanzo, lento e prolisso, pieno di futili dettagli su ogni situazione sociale attraversata da Ricardo, gli anni 50, gli anni 60, gli anni 70, Parigi, Londra, il Cile, ma alla fine c'è da chiedersi perché non dovrebbe essere così perché si torna sempre allo stesso punto: è Ricardo che narra, e dobbiamo accettare ciò che Ricardo vede, dice, pensa. Finché ad un certo punto ho cominciato ad appassionarmi, ad apprezzare l'inedia psicologica di Ricardo, ad attendere le nuove comparse della nina mala e ad amare questa storia per giungere al finale quasi in lacrime e provare una infinita prostrazione leggendo la parola "fine", complice forse il fatto che l'ho concluso ascoltando l'Orfeo di Monteverdi.
A tratti è lento, prolisso, lezioso, a tratti intrigante e profondo e dal giudicarlo banale si passa in fretta a chiedersi come abbia potuto ricreare ogni sfaccettatura della psicologia dei protagonisti (e comparse comprese) che appaiono.
E' stata una lettura assurda. Sono passato a pensare che l'avrei giudicato brutto, a carino, a maestoso, a bello, a brutto, a carino, a noioso, a epico nel giro di poche pagine. Alla fine ho deciso che è un gran libro ma che forse non soddisfa appieno, per qualche oscura ragione, le intricate vie della mia psiche. Leggetelo, è ciò che dovrebbe essere un vero Premio Nobel, dubito però che leggerò altre cose di Llosa ma, come mi era già successo, la colpa è mia, non del libro. Forse l'unica cosa oggettiva è che Vargas Llosa ci ha voluto mettere dentro un po' di troppa roba ma, ancora una volta lo ripeto, è Ricardo che vede, parla, pensa e se questo è ciò che ha visto, detto e pensato, allora così doveva essere. Forse gioca contro il libro il fatto che Ricardo con la sua idiota mania per la nina mala si rende notevolmente fastidioso, a volte avrei voluto averlo davanti a me per tirargli un ceffone.
Insomma, ripeto: non ho mai avuto così tanti problemi a recensire un romanzo o meglio a capire se mi è piaciuto oppure no, perché non è che ho problemi a decidere se mettergli quattro o cinque stelle, faccio proprio fatica a decidermi se mi è piaciuto oppure no. Ho deciso di dargli cinque stelle perché probabilmente, penso, questo è un punto a suo favore. Riuscire a disturbare il lettore non è cosa da poco. Dopo le ultime pagine ero persino sul punto di aggiungerlo alla mia lista dei migliori libri ma ho lasciato perdere. Ci sono libri che sono perturbanti nel loro contenuto, la maggior parte è così: è forse la prima volta che leggo un libro che invece è perturbatore, perturbanti non sono i contenuti ma lo diventa il lettore.
Personalmente, riguardo l'edizione italiana, avrei tradotto diversamente il titolo, lasciando "nina mala" invece di "ragazza cattiva", poiché comunque "nina mala" è il nomignolo della "ragazza cattiva" per tutto il romanzo quindi acquista più il senso di un soprannome piuttosto che rimane una espressione o un attributo. Perché non intitolarlo ad esempio "Avventure della Nina Mala"? Oppure "Traversìe della Nina Mala", forse più prossimo allo spagnolo "travesuras".
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Avventure della ragazza cattiva
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