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Una tradizione orale lunga ben 37.000 anni

Categoria: PENSIERI

KEYWORDS: antropologia | pensieri | scienza |
Inserito in DATA: 08/03/2020 | Vai ai COMMENTI
Si, avete letto bene e se avete un po' di cervello in zucca avrete capito che questa tradizione trasmessa oralmente per ben 37.000 anni riguarda il popolo aborigeno dell'Australia, uno tra i popoli che più mi affascinano.
Sono un popolo antico nel senso più pieno del termine: antico nel tempo, antico nelle tradizioni, antico nella cultura, antico nell'immaginario. 
Gli aborigeni si pensa arrivarono in Australia circa 60.000 anni fa; fate mente locale a quante poche cose sappiamo, ad esempio, riguardo gli Egizi, ovvero periodi di 5-6.000 anni fa, e ora realizzate cosa sono 60.000 anni.
Arrivarono probabilmente via terra, forse con brevissime traversate via acqua ma a vista, poiché il livello del mare era incredibilmente più basso di oggi, quindi vi restarono intrappolati per via dell'innalzamento del mare dovuto all'innalzamento delle temperature, innalzamento che subì magari altre fluttuazioni ma nel complesso è stato quasi sempre in salita; quindi si ritrovarono isolati dal resto del mondo assieme a tutte quella assurda fauna (e flora) che compone questo assurdo continente.
L'Australia, a mio avviso, sarebbe stata da dichiarare totalmente parco naturale, territorio e animali compresi, e riservato.
Ogni volta che penso agli aborigeni ho la certezza del darwinismo, e ciò che dico va inteso in senso buono perché loro forse sono gli unici esseri umani che possono darci una svegliata e mostrarci chiaro e tondo quanto l'uomo sia un animale e niente di più, una cosa che nessuno vuole ammettere e forse una delle guerre intellettuali più importanti che dovremmo combattere. Dobbiamo rimettere l'uomo allo stesso livello di qualsiasi altro animale: non è né più, ma neanche meno, è la stessa cosa.
Religioni, egocentrismo, solipsismo, scientismo, continuano chi più di meno a mantenerci in una sfera diversa quando più che spesso loro stessi ammettono che non è così. Educazione, malattie, sociologia e pedagogia ma pure psicologia o psichiatria, tutto assumerebbe ben altro spessore a trattarci come un normale animale del quale è rimasta solo una specie, unica particolarità di questa strana scimmia spelata.
Gli aborigeni, per sopravvivere in quel territorio terribile abbandonato dalla fortuna poco dopo che ci finirono in mezzo, hanno dovuto piegarsi: poca acqua dolce, poco terreno agricolo, assenza di piante ed animali addomesticabili, tutto ciò ha costretto questo animale spelato a restare un cacciatore-raccoglitore mentre il suo cervello cresceva ed effettivamente sopravvivere così in quel territorio richiede veramente una capacità di adattamento e flessibilità nonché di rassegnazione che denota un'intelligenza ben oltre il comune.
C'è chi esalta gli indiani d'America, chi le tribù sperdute in Amazzonia, io stimo gli aborigeni a penso che loro dovrebbero essere un monumento.
Torniamo a noi.
Se avete letto il magnifico (e comunque ben criticato pure dagli stessi protagonisti) Le Vie dei Canti di Bruce Chatwin, sapete che la tradizione orale negli Aborigeni è fondamentale. In effetti un nomade, costretto ad esserlo dall'ambiente, non può che sfruttare ogni cosa che gli permetta di non avere bagagli: la scrittura richiederebbe carta a volontà e non è il caso, avete mai fatto un trasloco e notato quando sono fottutamente pesanti le scatole dei libri? Vi immaginate a trasprtarle nel bush d'estate mentre cercate una pozza d'acqua? Per comprendere bene questo lato dell'evoluzione, della società, degli aborigeni e del Homo Sapiens in generale è bene tenere sempre a mente La Bibbia Vera ovvero il superbo Armi, Acciaio e Malattie di Jared Diamond. Resta quindi il racconto, questa scrittura invisibili, questa memoria d'archivio leggera che sfrutta particolari tecniche per tentare di non essere deviata ovvero le tecniche narrate da Chatwin: unire un ricordo da raccontare a un elemento fisico, una valle, un monte, un letto di fiume, qualsiasi cosa.
Finalmente arriviamo al punto della situazione.
Leggo su Focus che una nota leggenda di una tribù di aborigeni, leggenda che narra un evento creativo caratterizzato da esplosioni lapilli e fiamme ovvero una specie di eruzione vulcanica, pare sia (come ogni leggenda per definizione dovrebbe essere) un vero ricordo tramandato in formato di canto: la particolarità è che il ricordo riguarda un evento accaduto ben 37.000 anni fa!
Una cosa allucinante.
Questi popoli che abbiamo massacrato, denigrato, decimato e ghettizzato e che in buona parte ancora continuiamo a fare si stanno raccontando tutt'ora un fatto accaduto ben 37.000 anni fa, e noi "eroi occidentali" non sappiamo neanche se Omero sia effettivamente esistito!
Una cosa impressionante.
Se pensiamo che i racconti condivisi costituiscono l'asse portante di un popolo definendo la cultura, ciò che in un popolo è paragonabile a ciò che in un individuo chiamiamo "anima", risulta chiaro che gli Aborigeni sono forse l'unico popolo in grado di fregiarsi di questo termine. Oltre agli ebrei, chiaramente, la cui identità persevera nel corso degli anni e delle persecuzioni. Ma nessuno raggiunge la profondità culturale (ho ben soppesato questa espressione prima di usarla) degli Aborigeni australiani. Noi avevamo dimenticato persino l'esistenza di costruzioni a noi vicine e così mastodontiche come le piramidi di Giza e la Grande Sfinge, nonostante la scrittura; loro, solo oralmente, si raccontano un'esplosione vulcanica di ben 37.000 anni fa.
Tanto impressionante quanto affascinante e ammirabile.

L'articolo di Focus lo potete leggere cliccando qui ma lo riporto qua sotto:
Il popolo aborigeno dei Gunditjmara tramanda la leggenda della divinità creatrice che, arrivata sulle coste australiane, si trasformò in un vulcano. Il suo sangue fu lava e i suoi denti furono lapilli. Il vulcano della tradizione orale esiste davvero e uno studio ha appena fornito prove scientifiche dell'episodio della sua formazione: un'eruzione esplosiva datata a 37.000 anni fa. La leggenda aborigena sarebbe quindi la più antica e longeva storia sopravvissuta fino ai giorni nostri.
TESTA IN FIAMME. Il vulcano della leggenda si chiama Budj Bim, in lingua aborigena "alta testa", ed è ancora oggi luogo sacro per i Gunditjmara. Assieme al vicino Tower Hill, fa parte di un unico complesso vulcanico. Erin L. Matchan, geologo dell'università di Melbourne e coordinatore dello studio, ha analizzato assieme ai suoi colleghi le rocce di questi due vulcani datandole a quasi 40 millenni fa. È davvero possibile che la tradizione orale di questi aborigeni sia durata per migliaia di generazioni?
Alcuni indizi (come un'ascia ritrovata sotto il materiale vulcanico del Tower Hill) fanno pensare che la zona fosse già abitata quando il vulcano esplose. Ma anche se alcuni aborigeni assistettero al cataclisma, quante sono le probabilità che la stessa popolazione abbia abitato la stessa regione per così tanto tempo? Tante, secondo uno studio del 2017 sul DNA degli aborigeni: i flussi migratori che hanno mischiato le etnie mondiali sembrano aver saltato l'Australia tribale, che ha popolazioni stabili da 50 mila anni.
LA STORIA PRIMA DELLA STORIA. Quindi è possibile che gli antenati degli odierni Gunditjmara abbiano visto l'alta testa alzarsi del suolo. Non esistono altri esempi di tradizioni orali tramandate per decine di millenni: per paragone, l'iliade narra avvenimenti accaduti 3.300 anni fa, e ha passato su carta gli ultimi 2.500 anni. Ma ancora una volta gli aborigeni australiani si rivelano eccezionali: diverse comunità hanno tramandato in modo indipendente le une dalle altre antichi avvenimenti, come l'innalzamento del livello dei mari di 7.000 anni fa.

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