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IL PARADOSSO DELL'IGNORANZA DA SOCRATE A GOOGLE

Antonio Sgobba

Categoria libro: Filosofia
Stato lettura: LIBRO CONCLUSO IL 18/01/2024
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L'inizio di questa lettura è stato brutale perché il mio primo pensiero è stato: se dalle 300 pagine del libro togliessi tutte le citazioni, non penso che arriverebbe a 150 pagine. Perché così la prima parte di questo libro, tanto piena di quotes quanto pallosa. E' frustrante perché le continue citazioni non permettono al discorso di essere armonico e continuativo, la citazione di per sé è un'interruzione e infatti, sebbene dovrebbe essere la presentazione dell'argomento cardine del libro, subito non si capisce cosa vuole fare. Ignoranza? Di cosa? Quale? Quando? Per farlo lui spara citazioni una dietro l'altra e veniamo così sbattuti da un autore all'altro mentre Sgobba sta sullo sfondo a fare sorrisetti. "Come dice tizio", "citando caio", "come osserva sempronio" ogni poche frasi e poi righe virgolettate o paragrafi rientrati di continuo. Mi sta bene quando la citazione è di una, due righe, ma ci sono pagine che arrivano pure a metà dello spazio occupato da citazioni! Non basterebbe un rimando bibliografico? La filosofia del "più pagine ha, più costa" ha un po' rotto i coglioni. Spesso i ruoli si invertono e le citazioni prendono il sopravvento, con Sgobba che diventa solo un commentatore tant'è che la sua voce serve solo ad introdurre quella dell'autore della citazione successiva.
Arrivato a pagina 57 giuro che avevo quasi voglia di buttarlo dalla finestra ma mi sono trattenuto, tant'era il nervoso per aver atteso ben qualche anno prima di spendere soldi per questo libro, attirato dalla presentazione data da Il Tascabile di Treccani; mi tratteneva dall'acquisto era un certo costante sospetto per gli autori italiani di saggi teorico-culturali e una naturale ritrosia nei confronti dei giornalisti. Per il secondo punto, devo ammettere che Sgobba scrive abbastanza bene, è scorrevole e piacevole e non cade in molti difetti della sua categoria, ad esempio quello di seminare la punteggiatura alla cazzo o di troncare frasi per fare effetto "ta-ta!" dove basterebbe (e a volte neanche sarebbe necessaria) una virgola; questa cosa che scrive bene però fa ancora più nervoso proprio perché ti fa sentire le citazioni ancora più superflue. Non può parlare solo lui? Niente da fare, parte magari per 30 o 40 righe, a volte gli scappa persino una pagina intera senza citazioni (anche se non riesce a snocciolare qualche nome, probabilmente la citazione non era riportabile per motivi di forma e quindi lui ne fa la parafrasi, ma vivadio che almeno riusciamo a sentirlo "parlare"! Dice qualcosa e cita; introduce un argomento e cita; spiega qualcosa e cita. Cerca forse un qualche riconoscimento per aver gestito una così gran bibliografia? Non so, fatto sta che è snervante. Fortunatamente, dopo la prima parte le citazioni diminuiscono, anche se rimangono comunque troppo presenti, ed è giusto nei capitoli più "scientifici", ovvero più interessanti, che perdono un po' piede, del resto è difficile trovare citazioni pronte (un lezzo tipico dei libri filosofici dove è il linguaggio, non la cosa, a farla da padrone) in un testo di sociologia o psicologia cognitiva.
Sfortunatamente avevo inteso il libro avesse un piglio abbastanza psicologico o sociologico mentre quello che è più forte è (e ripeto "sfortunatamente") quello filosofico persino con declinazione giornalistica e, bisogna dirlo, Sgobba è furbo. Vi mostra il lato migliore dell'hamburger; fa una bella crostata anche se l'interno è crudo; non saprei come altro dirlo. Mischia le carte in tavola, salta di palo in frasca per tentare di giustificare un certo valore scientifico alla sua ricerca (che peraltro non si capisce bene di cosa sia una ricerca) mentre nella realtà si muove perlopiù nel campo della filosofia e pure di quella meno nota e un po' sempliciotta, ingenua, spesso di fonte meno diffusa ovvero, più che ignota, ignorata (e chiediamoci perché, no?)
Mi spiego con esempi. Una ricerca sull'ignoranza è difficile perché è principalmente una ricerca semantica, forse pure semiotica dato che "ignoranza" è una parola priva di senso immediato, senza un contesto rimane solo un suono, un insieme di lettere. Si può dire che sia così buona parte della lingua ma qui parliamo di un "concetto" in negativo, quindi ancora più flebile. Come si può parlare dell'ignoranza in sé e per sé, se non sappiamo innanzitutto di cosa? Per definire l'ignoranza Sgobba avanza dunque attraverso temi adattati per i suoi scopi. Un esempio è quello di Donald Rumsfield sul quale insiste non poco e pure ad inizio libro, quando ci si sta ancora chiedendo di che cazzo di ignoranza voglia parlare: in sostanza, ve lo presenta subito come un nevrotico bugiardo egocentrico. Ora, armi chimiche irachene o meno, Sgobba tace che la questione della esistenza di queste armi aveva dei fondamenti esterni: il massacro dei Kurdi operato da Saddam con armi chimiche era una prova diretta dell'avvenuto possesso, che implica l'avvenuta costruzione, sufficiente per ipotizzare che ci fossero degli stock dato che questo tipo di armi non le produci in quantità minima sufficiente al tuo scopo (massacrare dei Kurdi in numero preciso). In secondo luogo, il provato depistaggio operato da un chimico iracheno fuggito dal regime che diede informazioni, prove, casi, nomi, metodi e luoghi ma tutti puramente inventati. Ecco, non sto giustificando Rumsfield ma questo caso mostra una cosa: che l'ignoranza è innanzitutto un problema semantico perché innanzitutto dobbiamo capire cos'è in quel determinato momento, o meglio di cos'è. L'ignoranza, per capirla, deve avere sempre un perché (cosa la provoca?), un grado (quanto incide?), un contesto (simularla può essere utile?). Quanto incide la mia ignoranza delle basi della micro-elettronica nell'utilizzo di un telefonino? Quanto invece incide l'ignoranza dell'uso del cambio nella guida di un'auto? Bisognerebbe anche considerare gli effetti dell'ignoranza, ad esempio nel caso del telefonino posso comunque utilizzarlo ma se lo tengo vicino a un potente magnete me lo ritroverò rotto, mentre l'auto se da un lato è difficile che riesca ad usarla, dall'altro è probabile che sarò un pericolo per le altre persone. L'ignoranza in sé non esiste, è sempre ignoranza di qualcosa e la sua valutazione deve riguardare il perché e il cosa implica. Non si può obbligare la popolazione a laurearsi in ingegneria per usare uno smartphone, ma si può imporre l'obbligo della patente per guidare l'auto. L'ignoranza in sé non è, è il lato negativo di una conoscenza che manca, ed è da tale conoscenza che si può definire la sua mancanza, ovvero la sua ignoranza. Se poi si parla dell'ignoranza di una conoscenza che non c'è perché non si sa neanche che dovrebbe esserci (mi pare sia l'unknown unknows) be, signori, qua è impossibile dire qualsiasi qualcosa. Non si poteva dire che Galileo era un ignorante perché non conosceva il concetto di singolarità di/in un buco nero quando ancora non si sapeva che esisteva il Cosmo. Il discorso può ampliarsi ancora: sapere cos'è e come funziona la fissione nucleare nella mia vita quotidiana non mi serve; ovviamente, però, se si effettuerà un referendum per l'apertura di centrali nucleari in Italia, io potrei avere dati in più per dire la mia con più consapevolezza senza limitarmi a citare "Sindrome cinese" (come ho sentito fare, tuttavia, stamattina a Radio 3). Invece, sapere cos'è la energia oscura, e che contribuisce alla dilatazione dello spazio, mi sarà inutile in ogni contesto della mia vita (a meno di non diventare un astrofisico), e sotto questo aspetto potrebbe essere chiamata solo ignoranza di cultura, una competenza senza alcuna utilità diretta o indiretta, la sua mancanza sarà sempre ignoranza ma su livelli ben differenti dal saper cambiare le marce dell'auto o gestire la RAM del PC. Chiamare semplicemente (e parlare di) "ignoranza" tutta l'assenza di queste conoscenze diversificate e ragionarci sopra senza contestualizzare è caotico, soprattutto inconcludente nonché può portare a false conclusioni dettate da deduzioni personali ma, soprattutto, permette di portare il discorso un po' dove si vuole.
Sono cose - quelle sulle ipotetiche armi chimiche in Iraq - che in realtà Sgobba sa, si badi, ed emergono esplicitamente però solo quando vanno bene a lui, ovvero alcuni capitoli e paragrafi dopo. La questione Rumsfield, ad esempio, andrebbe ridimensionata: al riconoscere l'utilità della sua tesi, celando l'ignoranza e giocandoci sopra, va aggiunta l'ignoranza sull'esistenza fisica attuale rispetto alla certezza dell'esistenza fisica passata e la forte possibilità generata da falsa testimonianza dell'esistenza fisica presente. I suoi vari "known knowns" e derivazioni che Sgobba snocciola andrebbero inquadrate in questo contesto. Senza contare il fatto della questione nucleare con Saddam che impediva i controlli di enti internazionali, l'incremento della produzione, le minacce, l'appoggio ad Al Qaeda sebbene la storica divergenza; senza contare l'invasione del Kuwait; ovvero senza contare il fatto che era un dittatore il cui unico scopo era fare la vita di un imperatore del passato e destabilizzare l'economia occidentale per poter aver sempre il coltello dalla parte del manico durante le trattative economiche; senza contare poi il brutale attentato subito a Manhattan, che di fronte all'ONU non sarebbe bastato a giustificare una guerra perché problema solo americano, mentre le eventuali armi chimiche diventavano un problema globale; senza contare la questione di difendere la propria classe politica e il governo per cui si lavora; senza contare la questione dei positivi risvolti politici ed economici che una guerra porta. A partire da tutte queste considerazione, queste conoscenze, si potrà poi valutare l'eventuale ignoranza di Rumsfield e i suoi discorsi su ciò che si sa e non si sa e via dicendo, solo che si arriverebbe a non classificare più la sua attività come ignoranza ma come azioni atte a specifiche finalità. Sgobba non lo fa e va subito al "suo" punto: ne esce un bel discorso comprensibile e sensato, ma ne esce anche il messaggio diretto riguardo Rumsfield e la guerra in Iraq che qui non c'entravano nulla e sono un comodo trucco per attirare subito l'interesse del lettore medio che non vede l'ora di sparlare un po' di Trump e di Bush. Del rapinatore del limone dice tutto, della stupratrice del mormone dice tutto, di Rumsfield dice quello che gli pare (e serve) consegnandoci così una visione parziale e di parte, ovvero - paradossalmente - consegnandoci un messaggio contaminato dall'ignoranza. Non è l'unico caso, non incide molto sul valore dell'opera ma sulla sua etica si. Questo perché il discorso che porta avanti, con bella scrittura e anche ricerca storico filosofico, è un futile esercizio di stile giocato sulla mancanza di significato della parola "ignoranza" ovvero sui diversi significati che può avere a seconda del suo accadimento. Del resto, a reinterpretare il discorso tendenzioso su Rumsfield tornando a leggerlo dopo alcune "conclusioni" successive raggiunte nel libro riguardo all'ignoranza, ne viene fuori - paradossalmente, ma pure un po' esplicitata da Sgobba - anche una sua apologia poiché si potrà dedurre che Rumsfield cade nel tranello dell'ignoranza congenita alla conoscenza; in maniera un po' altalenante si potrà anche riconoscere questa cosa indirettamente nel discorso di Sgobba che però tende a lasciarlo, appunto, indirettamente sottinteso. E' ambiguo, ciò che implica essere furbo. Come ha fatto Rumsfield, del resto.
L'ignoranza non esiste, esistono le ignoranze, ovvero gli accadimenti fattuali di una mancanza di conoscenza e solo a partire dalla conoscenza mancante si può derivare un'indagine dell'ignoranza fattuale, in questione. Un'indagine sull'ignoranza in sé è invece retorica poiché è sul nulla, non essendoci un'ignoranza in sé. Restando nell'ambito filosofico, proprio a Sgobba, l'ignoranza è il non essere della conoscenza e per tale motivo non è e non può essere, quindi non può essercene neppure un'indagine (Severino); oppure, l'ignoranza è un gioco linguistico e i giochi linguistici non sono, bensì accadono (Wittgenstein); o ancora, l'ignoranza acquista significato solo da un punto di vista olistico ovvero nella triangolazione parlante-interprete-mondo ovvero con presupposta la Teoria della Verità del linguaggio, e non come semplice dato (parola) in sé (Donald Davidson). E si potrebbe continuare con altri filosofi che hanno dato veramente una svolta alla filosofia, non quegli ignoti che tira fuori lui da chissà dove.
Per fortuna che, nonostante la noiosissima sezione su Socrate che ormai è talmente sviscerato da essere tanto noioso quanto un perfetto Deus ex machina per ampliare indefinitamente un discorso - e un libro - ad libitum, arriviamo alle sezioni sull'effetto Dunning-Kruger da cui l'articolo che mi ha portato ad acquistare il libro. Finalmente si parla pienamente di esperimenti di psicologia e sociologia e il discorso acquista un po' di terreno abbandonando i nebbiosi cieli della speculazione giornalistico-filosofica. Sono le sezioni dove le citazioni diminuiscono, ma a leggerle bene diminuisce anche la parola di Sgobba che diventa mero narratore, riepilogatore, commentatore. Peccato che non durino molto, diciamo che quando detto nell'articolo che ho citato del Tascabile è tutto, e poco di più emerge da questo libro che non siano retoriche conclusioni. Mi fa strano invece che non trovi posto l'esperimento del conformismo sociale di Ash che avrebbe ancora più senso in un contesto come quello di questo libro, poiché l'esperimento dimostra l'accoglimento spontaneo dell'ignoranza, l'accettazione della verità dell'errore, la negazione della propria consapevolezza in maniera attiva, la cosciente accettazione dello sbaglio nonostante la prova obiettiva ad attestare la verità negata, quando invece per quanto riguarda la questione Dunning-Kruger si tratta di una errata valutazione della propria competenza in maniera inconscia, senza un confronto obiettivo. Dunning-Kruger è una involontaria errata auto-valutazione, Ash è una decisione attiva. Mancano anche riflessioni su una possibile causa di questi comportamenti umani: ad esempio, la sottostima della propria competenza come difesa dell'errore cui potrebbe portare una sovrastima (dal punto di vista evolutivo, la questione è "In tre persone riusciamo a uccidere quel Mammut? Forse non siamo abbastanza forti, è meglio chiamare altria") o l'utilità del conformismo sociale ("Tutti stanno scappando da un luogo che non vedo, forse faccio meglio a scappare anch'io").
Continuando la lettura diventa più pesante perché Sgobba crolla, letteralmente, nel mondo della ricostruzione storico-filosofica dell'ignoranza e ci ritroviamo dei capitoli totalmente sconclusionati con filosofi mai sentiti che esaltano lo scetticismo assoluto o visioni simili e mi chiedo che senso abbiano. Non c'è struttura in questo libro, a volte lo tratta come un testo di filosofia morale, a volte come un testo di filosofia della scienza, a volte come un testo di sociologia, a volte con un testo di storia della scoperta scientifica, a volte come un testo di consigli new-age, a volte come un saggio di divulgazione socio-psicologica o pure antropologica, non capisco proprio dove vada a finirla. Del resto non può essere differentemente: l'ignoranza definendosi in negativo a partire dalla conoscenza di cui manca, l'unica cosa da fare è saltare da una conoscenza all'altra, dai filosofi dell'essere alle teorie sull'auto valutazione personale, creando così una fragile pavimentazione su cui muovere le pedine dell'ignoranza. Certo, l'ignoranza è il tema ridondante, ma data la sua mancanza di definizione ha senso costruirci un libro attorno? Sgobba tratta l'ignoranza in senso letterale: mero "non sapere". E' una definizione talmente vasta che può includere ogni forma di "non sapere". Non so se riuscirò a prendere un caffè dopo pranzo, non conosco le radici matematiche della teoria delle stringhe, non so il nome dei figli del mio vicino di casa, non so quanti anni precisi ha l'universo, non so a memoria i numeri della mia Mastercard, non so quanto costa un etto di cotto all'Eurospar, sono tutte ignoranze messe sullo stesso piano. Una definizione tale di ignoranza è così confusionaria che può tornare più che utile a farci un libro di filosofia. 
Per non parlare dell'ignoranza che potremmo chiamare "di metodo": se uno guarda le incisioni di Dendera e parla di lampade, non è detto che sia un ignorante del fatto che nell'antico Egitto non c'erano le lampade ad incandescenza. Se questa persona crede agli alieni, è quasi necessario che la sua interpretazione volga in quella direzione per rispettare la sua premessa. Il principio di Occam per cui gli ("entia") non devono essere incrementati è un consiglio, non una legge; quindi una persona è libera di incrementarle. Tuttavia il problema è che se può farlo, può fare tutto: a questo punto possiamo veramente dire di avere lampade ad incandescenza a Dendera, e chiedersi perché gli alieni così avanzati non le facessero a led (tecnologia indubbiamente superiore) non ha senso; ma a questo punto invece degli alieni potremmo pensare a una razza terrestre precedente all'uomo, a una stirpe di dinosauri sopravvissuti all'asteroide ed evolutisi in intelligenze, a degli esseri nelle profondità delle sabbia, ai Grandi Antichi di Lovecraft, potremmo pensare a qualunque cosa. Non è più un'ignoranza di contenuti, ma di metodo. Non aggiungere elementi inventati ad un ragionamento porta a più problemi che il non farlo, ecco perché è meglio non farlo; ma questa ignoranza è diversa dal non conoscere i principi di funzionamento di un transistor. Paradossalmente, il maestoso suggerimento di Occam non trova molto posto in questo libro, chissà perché visto che è un consiglio metodologico incredibilmente importante e valido e il cui rapporto con la conoscenza e forse ancora più con l'isolamento dell'ignoranza è basilare.
L'unico senso che può avere questo libro sono gli spunti che si possono trarre dai vari capitoli ma, sinceramente, avrei preferito fossero più addensati dal lato scientifico (sociologico, storico, psicologico, pedagogico, cognitivo...) lasciando a qualche capitolo marginale il lato filosofico che in alcuni tratti è tanto insistente quanto aleatorio. Sgobba è uno scettico, in senso prettamente filosofico, e la caratteristica dello scetticismo è fare domande cui si possono dare varie risposte a dimostrazione che non ce n'è una sola; il problema è che spesso le domande sono create ad arte per ottenere questo risultato. Sostanzialmente, lo scettico può dire quello che vuole ché tanto avrà sempre ragione. Si badi che intendo lo scetticismo come stile filosofico; nella pratica (nella scienza, ad esempio) lo scetticismo è utile perché è l'impostazione di chi per principio non vuole dire lui l'ultima parola, ma vuole che sia l'esperimento a garantirla. In filosofia lo scettico invece è colui che mischia le carte ad arte per poi farne ciò che vuole.
Che la conoscenza aumenti l'ignoranza è una tesi che Sgobba fa volare da un capitolo all'altro come una formula magica: difficile negarla, ma va inquadrata. L'ignoranza aumenta all'aumentare della conoscenza semplicemente perché l'aumentare della conoscenza ci illumina sul resto che c'è da conoscere, quindi l'ignoranza diventa nota. Se di notte  illumino una strada per 10mt, e poi li percorro, non vuol dire che la strada non illuminata è ancora più grande, semplicemnte ho spostato il punto luce; l'aumentare della conoscenza ci fa conoscere nuove cose da scoprire, quindi non è l'ignoranza che aumenta, ma la conoscenza, e i suoi limiti formano l'ignoranza; è un processo normale perché, come dicevo, l'ignoranza è qualcosa dedotto non e noto, è dedotta in negativo, è il negativo della conoscenza; se non ho conoscenza di qualcosa, non ho ignoranza. Una premessa è che conoscere tutto è impossibile, ma quindi si dedurrebbe da ciò che l'ignoranza è destinata ad aumentare? No, perché vale solo se non definisco l'ignoranza e la valuto come fosse cosa in sé, ma non lo è; è una deduzione, l'ignoranza, non è una cosa.
Ho già parlato abbondantemente del perché, oggi, i filosofi farebbero meglio a restare un po' più sottotono. Vale anche in questo caso.
Le conclusioni cui giunge dopo tanto ragionare sono incredibilmente innovative: abbandonare i social, filtrare le informazioni che troviamo nel web, limitare il nostro rapporto online, odiare Google, attuare forme di micro-resistenza non ben specificate, e... ribellarsi al proprio datore di lavoro! Di questo ultimo punto non chiedetemi il perché, non l'ho capito. 300 pagine per arrivare a cotante raccomandazione mi paiono veramente troppe, con ciliegina sulla torta il capitolo finale con Trump (e Berlusconi) che sono dei crassi ignoranti e punto, "non contradditemi" pare dire Sgobba per il quale tutti il mondo era contro Trump e contro Berlusconi. Per la cronaca, Sgobba è su Facebook, peraltro con un profilo bello completo e pubblico.
Bisogna ammettere che il libro è comunque retto abbastanza bene da una sola cosa: il suo stile, encomiabile. A conclusione di un capitolo finale parla dei giornalisti dei quali in una riga dice  che la loro principale competenza è lo "storytelling". Il sapere raccontare una storia, la competenza di prendere un qualcosa e saperci ricamare e costruire attorno un cespuglio di parole. Ecco, tale è questo libro: storytelling, e sotto questo aspetto Sgobba è competente.
Prima che lo domandiate sappiate che NO, non parla de "L'ignoranza è forza" di 1984. Parla di NOI di Zamjatin, ma non di Orwell; Orwell è troppo anti-comunista per i gusti di un filosofo italiano.
Lo consiglio? Se siete filosofi sarà utile come insieme di spunti di inutilità filosofica retorica; se siete scienziati non servirà a nulla; se siete pensatori comuni di casa potrà essere interessante per capire che c'è gente che scrive bei libri sul nulla; se siete lettori di libri divulgativi sulla società sarà curioso. Lo consiglio? No, ma sicuramente ci sono libri più stupidi in giro, ma non c'è dubbio che non ne esca alcuna verità né vi resterà in tasca qualcosa. La vostra ignoranza resterà tale, la conoscenza pure. 
Va in mona anche Il Tascabile, però... hanno preso i paragrafi più interessanti del libro e mi hanno fatto credere che le restanti 280 pagine era di questo tenore, quand'è vero il contrario. Mannaggia...
EDIT: ho successivamente abbassato le stelle da due a una e tenderei pure a zero perché se dopo questo libro torni a leggere testi (anche solo articoli da riviste) scientifici o di storia della scoperta scientifica ti rendi ancora più conto di quanto questa opera di Sgobba sia il nulla assoluto, di quanto sia "ignorante".

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