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UN MISTERO IN BIANCO E NERO - LA FILOSOFIA DEGLI SCACCHI

Pili Giangiuseppe

Categoria libro: Scacchi
Stato lettura: LIBRO CONCLUSO IL 04/06/2023
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Un libro che mi ha lasciato molto amaro in bocca: la filosofia degli scacchi può essere duplice, genitivo oggetto o soggettivo, la filosofia che regola gli scacchi, propria degli scacchi, o la filosofia ad interpretazione degli scacchi, ovvero come la filosofia può aiutare ed essere aiutata dagli scacchi. Sinceramente in questo libro non si capisce proprio quale sia il punto di vista.
Nella quarta di copertina leggo che questo Pili, giovane laureato in filosofia, attualmente sta lavorando per sviluppare un modello matematico per risolvere il gioco degli scacchi: mi sto mica ritrovando di fronte all'Einstein della filosofia? Intendiamoci: tutti vogliono risolvere gli scacchi, ma di certo non potrà riuscirci un filosofo dato che il mondo degli scacchi è matematico. Successivamente ho letto l'introduzione del libro, in cui con toni incredibilmente lirici al limite del patetico viene presentato questo libro di Pili come colui che ha composto una pietra miliare nel mondo della letteratura scacchistica, nonché la premessa di Pili stesso dove un po' pomposamente lascia intendere che nelle successiva pagine del libro ci sarà la soluzione al problema filosofico degli scacchi, definitiva.
Cosa ho tra le mani? Il Corano degli scacchi e della filosofia? E' dio stesso che detta il testo a Pili?
Sfortunatamente, la filosofia la conosco e ancor più conosco i filosofi italiani, teorici puri appassionati della retorica della citazione e del culto dei classici, tutte cose che solitamente celano neanche tanto bene il culto di se stessi.
In questo libro abbiamo bene esemplificati molti motivi per cui la cultura a volte andrebbe evitata, e perché la filosofia non si merita più un posto speciale nella storia dell'umanità: sfoggiando citazioni, nomi, libri, l'autore di questo libro non fa altro che sbatterci in faccia giudizi, come se lui d'un tratto fosse riuscito a risolvere non gli scacchi, ma tutti i problemi della filosofia e delle scienze. Sa dare giudizi e fare il quadro della situazione della filosofia teoretica, della filosofia della scienza, della psicologia comportamentista e cognitiva, della filosofia della mente, dell'informatica, della statistica, della matematica teoretica, ha la soluzione a tutto. Con nonchalance cita Russell, Hilbert, il solito Goedel, ma ovviamente fuori dal loro campo, con lo stile solitamente filosofico che, da un teorema prettamente matematico pretende di avere la chiave dell'interpretazione dell'intero genere umano. E' un tipo di filosofia che sinceramente ormai ha rotto i coglioni, scusatemi la volgarità.
A volte il trucco della filosofia funziona, e trattandosi di filosofia e scacchi potremmo dire che a volte il dono greco funziona, altre no. Harari è il tipico esempio di un filosofo che vuole dire l'ultima su tutto, e ne viene fuori comunque un bel libro; nel caso di Pili, invece, sacrifica l'alfiere ma il matto non c'è e il pezzo è perso. Non ci resta nulla dalla lettura di questo libro, né resta qualcosa alla filosofia, né agli scacchi, né alla scienza, né al giocatore di scacchi, né a nessun altro. 
Il filosofo che legge Hendriks è Pili si troverà ad affrontare la distanza fra la filosofia Analitica e quella Continentale, ovvero fra la filosofia scientifica, diciamo, e quella classica; tra la filosofia per-sapere e la filosofia per-parlare, dico io con piglio molto critico e sicuramente non in senso costruttivo. Dopo il primo capitolo con la leggenda di Caissa ho avuto la certezza che non avevo tra le mani un nuovo Einstein ma che probabilmente era il Fusaro degli scacchi, e sapendo cosa ne penso del quaquaraquà marxiano si può capire che stavo per prendere questo libro e metterlo nella zona degli abbandonati, tra la polvere, se non proprio fuori dalla libreria dove c'è solo freddo e stridore di denti. Avrei fatto bene, ma alla fine ho voluto andare avanti per capire se a un certo punto le lunghe elucubrazioni retoriche autocelebrative fosse riuscito a portarle a una sorta di conclusione . Invece non arriva a nulla, parla parla e parla ma si conclude in pratica dicendo "Io so tutto" e basta. 
Avevo letto la sua critica al libro di Hendriks e mi era parsa una critica piuttosto forte; poi, leggendo il libro di Hendriks, la critica mi era parsa pure fuori luogo. Letto questo libro, capisco perché: Pili è convinto di avere non la soluzione definitiva al gioco degli scacchi, ma la soluzione definitiva alla vita, l'universo e tutto quanto. Peraltro nel capitolo 5 e soprattutto all'esempio a pagina 59 a mio avviso quasi attesta che la teoria del ragionamento dello scacchisti illustrata da Hendriks sia corretta (euristico, esperienza, razionalità incosciente, eccetera) anche se è difficile tirare le somme, perché in realtà Pili non scende mai nel profondo del ragionamento ma, arzigogolando con la retorica tipica filosofica (Descartes, Leibniz citati a profusione) non conclude molto. Pili è il Fusaro, il Vattimo, il Galimberti degli scacchi perché a leggerlo pare che sia chiaro che lui ha tutte le risposte.
Ho ancora un po' di rispetto per la filosofia e penso che abbia ancora qualcosa da dire a Homo ma la teoretica pura non ha più tanto senso e ancor più le elucubrazioni verbali zeppe di "come disse", "citando", "ricordando quanto disse" con a seguire Leibniz/De Saussure/Cartesio/Aristotele/Platone, senza nulla toglie a loro, si badi, ma togliendo sicuramente a chi oggi deve tirarli in ballo per qualsiasi cosa; la filosofia deve smetterla di farsi giudice suprema delle scienze che ormai le avrà pure fondate lei ma se ne sono svincolate da un pezz ed essa a loro nulla ormai può servire se non per divulgazione e didattica, o per sottolinearne momenti critici al massimo. La filosofia è un'arte dell'uso del linguaggio e come ogni arte ci può essere un artista bravo e uno meno, fa parte della grande famiglia della letteratura, un bravo scrittore può illuminarci sulla teoria della relatività con un romanzo, ma nulla aggiungerebbe alla relatività. 
Per un filosofo, in questo libro si troverà magari saltuariamente qualcosa di utile, ma come da qualsiasi altro libro di saggistica filosofica per le masse. Nigel Warburton ha fatto di meglio.
Gli Scacchi sono un bel gioco, non c'è dubbio. Ma innanzitutto non sono il miglior gioco e neppure il più complesso. Sono un gioco, interessante perché non ha momenti determinati dal caso, interessante perché ha pezzi con movimenti differenti ma determinati, interessante perché ha una cultura millenaria alle spalle e studi con tablebase, patterni, linee di apertura decodificate e l'immenso mondo dei finali. Il Go è incredibilmente più complesso ma ha solo una pedina, la Dama è semplice e ancora a una pedina, quindi gli Scacchi sono una bella metafora limitata e finita per ad esempio il linguaggio, o la teoria dei giochi in genere, nonchè una palestra adeguata per l'elaborazione di software avanzati di autoapprendimento. Gli scachci possono essere scelti perché sono comodi, non perché sono gli unici perfetti.
Un'analisi filosofica degli scacchi sarebbe un progetto meraviglioso per un libro di filosofia ma doveva essere strutturata in ben altro modo: l'analisi dell'elaborazione matematica degli scacchi e i teoremi di Goedel per parlare di matematica e meta-matematica, il connessionismo e le teorie della mente, le teorie dei giochi applicate alla società, i giochi linguistici di Wittgenstein e le teorie della verità di Davidson e Dummett, la visione olistica del linguaggio parlante-ascoltatore-mondo e il rapporto dello studio del linguaggio applicato all'elaborazione informatica, questi si che erano argomenti che si sarebbe potuti trattare a partire dagli Scacchi. 
Se un giorno Pili leggerà queste pagine non se la prenda troppo ed anzi con lui mi scuso già da ora, si sa che con la parola scritta si può diventare facilmente violenti, lo prenda come uno sprono a trasformare di nuovo la filosofia in un'amica delle scienze che può dare suggerimenti, ma nulla più. Del resto ciò che la filosofia (analitica, a mio avviso, soprattutto) ha dimostrato, innanzitutto, è che col linguaggio possiamo fare un po' ciò che vogliamo, e se da un lato ciò è un bene, dall'altro è un grandissimo male.

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