Salamov Varlam
		I racconti della Kolyma
		
		
	
	
	
	Noi non avevamo paura [di aver lavorato e prodotto meno rispetto al programma]. Al contrario, il fatto che il capogruppo avesse constatato l’insufficienza del nostro lavoro e la nullità delle nostre qualità fisiche ci aveva dato un sollievo inaudito, senza per nulla amareggiarci, senza spaventarci. Ci lasciavamo portare dalla corrente, e stavamo ‘toccando il fondo’, come si dice nel gergo del lager. Nulla ci poteva più inquietare, ci era facile vivere in balia della volontà altrui. Non ci preoccupavamo nemmeno di mantenerci in vita, e se dormivamo non facevamo che sottometterci anche in questo caso a un ordine, secondo l’orario in vigore nel campo. [...] tranquillità interiore raggiunta attraverso l’ottundimento dei sentimenti [...]: un’altrui volontà stava sempre a guardia della nostra tranquillità spirituale. Da tempo eravamo diventati fatalisti, non facevamo progetti che andassero al di là della giornata successiva. Sarebbe stato logico mangiarci tutti i viveri subito e tornarcene indietro, scontare la pena prevista in questi casi in cella di rigore e riprendere il lavoro agli scavi: ma non lo facemmo. Qualsiasi intrusione nel destino, nella volontà degli dèi, era cosa sconveniente, contraddiceva il codice di comportamento del lager.
	
	
		COMMENTO ALLA CITAZIONE:
		L'internato si adegua ai dettami del gulag, ai suoi ritmi imposti come non fossero una punizione ma la tranquilla processione degli eventi naturali; non si oppone, da un lato neanche si lascia andare, semplicemente si adegua ottundendo la volontà e raggiungendo una specie di Nirvana in cui la liberazione diventa però il ritmo stesso del gulag diventato necessità teologica.
	
	
	Citazione inserita il 28/10/2025
	
	
	Categoria: NARRATIVA
	
	
	
	
	
									
								
								
								
								
								
								
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