Sottoposi quindi all'attenzione di Churchill altri punti che avevo sottolineato nel mio rapporto: in primo luogo, secondo la mia opinione i partigiani, che li aiutassimo o meno, avrebbero costituito il fattore politico decisivo in Jugoslavia dopo la guerra; in secondo luogo, Tito e gli altri capi del movimento erano dichiaratamente comunisti e il sistema che avrebbero costruito si sarebbe mantenuto senz'altro sulle linee sovietiche, anzi, con tutta probabilità sarebbe stato fortemente orientato verso l'Unione Sovietica.
La replica del primo ministro fugò i miei dubbi.
«Intende prendere dimora in Jugoslavia dopo la guerra?» mi domandò.
«No, signore», risposi.
«Nemmeno io», disse. «Stando così le cose, meno io e lei ci preoccupiamo della forma di governo che adotteranno, meglio sarà per tutti. La decisione spetta a loro. Quello che ci interessa è: quale dei due gruppi sta creando danni maggiori ai tedeschi?»
[e un centinaio di pagine dopo, sempre Churchill ma alla Camera dei Comuni...]
«Poche persone nel Regno unito, immagino, saranno più allegre o più depresse a seconda della futura costituzione jugoslava».

La discussione con Churchill riguarda i dubbi che possono esserci nel cominciare a inviare aiuti ai partigiani di Tito, che con le loro tattiche di guerriglia stavano ottenendo successi contro i tedeschi, e contemporaneamente rivedere gli aiuti che già stavano dando ai cetnici che si stavano invece dimostrando, per un motivo o per l'altro, sempre più tolleranti quando non collaborazionisti verso i crucchi. I dubbi erano dati appunto dal fatto di scegliere di aiutare un gruppo politicamente schierato e che, data la forte personalità di Tito, sarebbe presumibilmente stato il futuro regnante della Jugoslavia ovvero scegliere di aiutare, indirettamente, la fondazione di un futuro stato comunista in Jugoslavia. La risposta di Churchill è mitica, rientra nel motto il nemico del mio nemico è mio amico.