«Tu resta qua, bada alla casa» mi ordinò mia madre, gonfia di lacrime, invecchiata di colpo e imbruttita.
Guardai il corteo allontanarsi, chiusi il portone, raccolsi da terra i rami di abete caduti dalla corona. Si fece silenzio. Ed ecco, solo a quel punto restai davvero senza fiato, e finalmente capii. Non avrei più rivisto la nonna.
«Moriremo tutti» aveva detto Lena. Il nonno morirà, la mamma morirà, il gatto Tit morirà. Mi guardai le dita, le aprii e guardai di nuovo le mie dita aperte, e capii che presto o tardi non ci sarebbero state nemmeno loro. La cosa più terribile al mondo è la morte. È un tale orrore quando muore una persona, anche la più vecchia, di malattia o comunque in modo naturale, normale. Possibile che questo orrore naturale non basti, che gli uomini inventino sempre nuovi modi per dare artificialmente la morte, che organizzino tutte queste carestie, queste fucilazioni, questi Babij Jar?
Mi reggevo in piedi a stento, rientrai lentamente nella chata. Dentro era uno schifo: impronte e rifiuti dappertutto, un odore funereo di incenso, sgabelli rovesciati intorno al tavolo nudo, che se ne stava lì a gambe divaricate. Il gatto Tit guardava dalla stufa con gli attenti occhioni gialli.
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