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LA SCIMMIA NUDA

Desmond Morris

Categoria libro: Scienza
Stato lettura: LIBRO CONCLUSO IL 10/11/2020
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Per me questo libro è stato una delusione più che altro per il fatto che di questo libro avevo aspettative alte. La cosa più che mi ha creato delusione è la sua struttura esplicitata dall'autore stesso nell'introduzione, ovvero la sua mancanza totale di riferimenti. E' totalmente spersonalizzato per cui si ha la sensazione che le tesi da cui parte poi un discorso sono non tesi, ma dogmi. Sono così e punto. L'autore asserisce che la mancanza di riferimenti a studi, opere, ecc. è stata fatta per rendere il libro più leggero; sinceramente, quando ho letto questa cosa nell'introduzione sono restato esterrefatto: le note si possono anche ignorare, del resto bisogna anche saperle scrivere. Se ogni nota dura mezza pagina è chiaro che la nota interrompe il discorso, ed è per questo che la nota non deve essere lunga, e che quell'eventuale discorso presente in nota va spostato nel testo stesso o, in alternativa, eliminato. La nota però ci permette di avere un qualche tipo di riconoscimento che stiamo leggendo una ricerca che conclude un percorso di studio e ricerca e non le opinioni personali di un autore. E' un po' la differenza che c'è fra Armi, Acciaio e Malattie - pieno di riferimenti a studi e, nel complesso, anche modesto nelle conclusioni che il lettore viene messo in grado di valutare -, fra Da Animali a Dei - un libro pieno di opinioni dell'autore riportate così bene che sembrano vere di per sè - e Il Gene Egoista - in cui invece la complessità fa la padrona. Senza riferimenti, non c'è modo di valutare e di dire la propria. Inoltre l'autore rimane eccessivamente sull'impersonale: "si è visto che", o "è noto che", oppure "siccome si sa che" sono premesse che non giocano per nulla a favore della chiarezza e dell'obiettività.
Premesse come queste non possono che portare a farsi una domanda: la base scientifica è solida? E' questo stesso discorso catalogabile come "scientifico" o forse rimane nell'ambito "filosofico"? L'assenza di note, citazioni, fonti, analisi o anche semplicemente l'attestazione personale da parte dell'autore di un determinato studio, riscontro, esperienza non permette di fornire una risposta a questa domande. Il libro dunque va letto e basta, possiamo accettarlo o negarlo, amarlo o combatterlo ma non abbiamo basi per giustificare la sua posizione o la nostra reazione.
Diciamo che sembra la versione zoologica di Totem e Tabù di Freud: affascinante, intrigante, ma di certo non obiettivo e rigoroso. Un volatile punto di vista personale. Il bello è che anche tutto ciò che io ho detto può essere vero o meno, rimane una mia opinione perché non ho modo di sapere se le cose che dice siano vere o meno, e il discorso resta inevitabilmente circolare.
Sinceramente quando leggo che l'uomo mangia la bistecca calda per simulare di mangiare la carne cruda dell'animale appena ucciso come i suoi lontani antenati mi cadono un po' le braccia come quando lessi che l'uomo pisciò sul fuoco per spegnerlo con un impulso sessuale machistico.
Anche la premessa di evitare le popolazioni tribali umane attuali per preferirgli gli esemplari "normali e ben riusciti" (giuro, dice così) perché gli altri sono antiquati e quindi non pertinenti non la reputo corretta e anzi la reputo proprio errata: sono dell'opinione che popoli come gli aborigeni e gli indiani amazzonici, ad esempio, non siano antiquati ma siamo progrediti come noi, solo adattandosi all'ambiente in maniera diversa. È l'approccio seguito da tutti gli altri studiosi e nell'analisi delle origini animali dell'uomo a mio avviso sarebbe più corretto e utile scegliere quei nostri esemplari che hanno mantenuto un'esistenza simbiotica con l'ambiente circostante. L'alimentazione, il sesso, l'amore, l'allevamento dei "cuccioli": tutti questi temi, costituenti i capitoli stessi del libro, andrebbero completamente rivisti se si considerasse l'animale homo in tutte le sue sfaccettature e non solo in quelle che Morris decide acriticamente di considerare.
Tolto tutto questo discorso, però, bisogna riconoscere che il libro è nel complesso scritto bene, è chiaro, lineare, strutturato con metodo, e inoltre le sue fondamenta (trattare - finalmente - l'uomo come un animale) sono meritevoli di enorme rispetto e, forse, leggerlo ai tempi della pubblicazione (fine anni sessanta) dev'essere stata una botta immane al senso comune. Ancora oggi parlare dell'uomo come scimma è dura; è facile dire solo "parente delle scimmie" che pare quasi si stia parlando di quei parenti coi quali non vogliamo avere nulla a che fare! 
In questo libro invece non si parla dell'uomo come "lontano parente", ma dell'uomo come "cugino di primo grado", come "parente stretto e in buoni rapporti", come fratellastro delle scimmie attuali.
Questo è il punto di vista che è magnifico, che è meritevole di rispetto, e che salva il libro che però un po' lo fa perdere in molti discorsi un po' troppo esagerati.

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