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IL GIOCO IMMORTALE. STORIA DEGLI SCACCHI

David Shenk

Categoria libro: Scacchi
Stato lettura: LIBRO CONCLUSO IL 29/01/2023
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E' un libro bello, scritto bene, intrigante, curioso, ma che mi ha lasciato abbastanza perplesso nella struttura perché è caotica nonché nei contenuti perché a fine lettura ben poco resta. 
Innanzitutto, non ho capito il senso di inserire l'immortale di Andersen divisa per capitoli alternati presentanti una o due mosse per volta (in pratica ogni capitolo del libro viene seguito da un capitolo presentante una mossa della partita); alla fine è una partita che diventa incomprensibile a meno, a fine libro, di tornare all'inizio e leggersi tutti i capitoli uno per volta, e infatti Shenk stesso a fine libro la ripropone in un paragrafo solo. A cosa serve? E' uno stratagemma estetico e teorico originale ed artistico, stilisticamente anche gradevole perché ogni capito dell'immortale è farcito di considerazioni varie sul percorso scacchistico dell'auto, ma che senso ha? L'unico senso è, a mio avviso, il "consumare" pagine.
Allo stesso tempo la "storia" degli scacchi non è cronologicamente orientata, ma piuttosto colloquiale con perlopiù riflessioni personali a farcire ogni capitolo e neanche linearmente; se il tutto rende la lettura intrigante allo stesso tempo la rende dissociata e confusa e, alla fine di ogni capitolo, restavo soddisfatto per lo stile che è veramente gradevole, ma quasi privo di reali informazioni.
Bisogna sapere che in realtà questo non è un libro di "storia degli scacchi", ma un libro di "scacchi nella storia" poiché l'autore mostra come si mossero gli scacchi nel corso del periodo storico che attraversarono dalla loro invenzione all'età odierna; è tutta un'altra cosa. Per fare un esempio, c'è un capitolo dove Shenk parla di Benjamin Franklin e della sua passione degli scacchi ma lo fa per mostrare come gli scacchi entrarono da co-protagonisti all'interno della guerra di indipendenza americana. Questo non è propriamente un parlare della storia degli scacchi ma, appunto, di come gli scacchi si siano insinuati in vari momenti della storia umana, e così è in tutto il libro. E questa non è storia, ma intepretazione, riflessione personale.
C'è un tono un po' troppo eroicizzante gli scacchi che sono presentati come quasi una chiave di volta per comprendere importanti momenti chiave storici ma l'interpretazione mi pare un po' tirata perché di certo non sono l'unica attività con 1.500 anni di storia alle spalle nella cultura umana, né che il loro ruolo sia stato così centrale. Chiaro che una rilettura posteriore e "scacchisticamente" mirata può riuscire a porli in un ruolo chiave, ma lo stesso si potrebbe dire delle patate dopo la loro introduzione in Europa, del cavallo nelle Americhe, dei conigli in Australia, o della pizza nella storia della costruzione dell'Italia.
Io resto dell'opinione che sia un bel gioco e intellettualmente molto utile, ma forse un po' sopravvalutato; penso che il suo legame con l'intelligenza sia di debito, principalmente. Una persona acculturata ed intelligente, interessata a questioni prettamente teoriche e culturali, tende ad ascoltare musica classica, apprezzare l'arte moderna e contemporanea, mangiare e bere raffinato ed è più probabile che, se apprezza un gioco, sarà quello degli scacchi. Gli scacchi non fanno diventare intelligenti, è l'intelligenza che piuttosto probabilmente porta agli scacchi.
Prendiamo ad esempio Duchamp, negli scacchi importante e citato più volte e con un certo rilievo nel libro: è un operaio metalmeccanico senza istruzione in grado di apprezzare la sua Fontana, un'opera d'arte dove la sua interpretazione è la vera opera d'arte? Avrà questa stessa persona la possibilità di ritrovarsi nel mondo degli scacchi vero e proprio, dove servono studi, anni per fare progressi, e dove serve soprattutto non (tanti) l'intelligenza, ma tanto tempo libero? La cosa non è un limite della persona, ma dell'oggetto: è la Fontana ad essere limitata, non chi la guarda. Così pure gli scacchi: chi ha tanto tempo da dedicargli, a impararne le tattiche, le aperture, la storia, a memorizzare schemi e patterns, a studiarne partite proprie e non solo? Vogliamo proprio dare a bere che la cultura umana sarebbe tutta diversa se le 32 statuette non fossero arrivate fino a noi dalla Persia tanto tempo fa? Senza togliere troppo valore agli scacchi, che considero comunque un gioco oltreché bello anche molto utile, mi pare un'interpretazione un po' esagerata.
Sinceramente pensavo di trovare un libro che mi avrebbe presentato la storia degli scacchi vera e propria, non un flusso di pensieri in cui più che gli scacchi ciò che si sottolinea è la bravura dello scrittore in un processo autoreferenziale a giustificare che "sarò pure un giocatore di merda (lo dice lui stesso), ma sono un bravo scrittore"? E' un libro autoreferenziale, che celebra se stesso più che il nobil giuoco.
Rimane sicuramente una bella lettura; scritto bene, godibile, strutturato anche bene, alcuni temi sono interessante, e meriterebbe i pieni voti se avesse però un altro titolo perché non è un libro di storia degli scacchi, e una struttura sicuramente migliorata per non mirare ad aumentare le pagine inutilmente.

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