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L'INFELICITÀ ARABA

Samir Kassir

Categoria libro: Divulgazione
Stato lettura: LIBRO ABBANDONATO
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Ho appena concluso il magnifico Arabia Deserta di Doughty e ne ho tracciato la differenza principale con i libri di Wilfred Thesiger a partire dalla sconfitta della Nahda araba, subito dopo ho cominciato a leggere questo pamphlet (termine correttissimo, visto che è stato scritto in francese!) in cui si parla proprio dell'infelicità araba dovuta all'abbandono dei principi regolatori richiesti durante la Rinascita e metaforicamente sgozzati poiché pagani. La cosa peggiore è che l'autore Samir Kassir, libanese, fu egli stesso ammazzato troppo giovane, e proprio per via dei suoi scritti.
Tutto, grottescamente, torna.
Tuttavia non è tutto oro ciò che luccica e questo libro è, nel risultato, il contrario di ciò che mi aspettavo : è una celebrazione del pan-arabismo. Fa continua critica a Israele riempiendosi la bocca di "sionismo", vi è la solita retorica sulla Palestina e gli Hezbollah chiamati "la resistenza", per non parlare degli americani, i cattivi da sempre. Il fatto stesso che "infelicità" sia usato come sinonimo di "impotenza" deviando quindi il senso del titolo a una specie di slogan "Siamo i migliori ma non vogliamo esserlo" che tanto ricorda i fascisti che parlano di Cesare e della celebre bonifica mussoliniana -, oppure che, a fronte delle critiche scontate alla cricca "Israele & C.", la riflessione sulla violenza di molti gruppi arabi (o della "cultura" araba di per sé, vedasi la situazione delle donne nei loro paesi) verso l'esterno ma soprattutto verso l'interno (verso la società stessa) sia assente. Sotto questo aspetto, è un libro incredibilmente fondamentalista: laico sicuramente, ma comunque fondamentalista arabo. Liquidare l'estremismo religioso islamico dannoso solo perché fa il gioco della "bestia americana" o dei "sionisti" attesta che non si è capito una fava della questione. Non parliamo del fatto che in "Palestina" non c'è solo guerra con Israele, ma anche tra Al-Fatah e Hamas? Ah no, è vero, lui è stato ammazzato prima della "liberazione" di Gaza; non parliamo quindi di cosa è successo a Gaza dopo che gli Israeliani gliel'hanno ridata? E del suo Libano, che dire? Santo Hezbollah, si? Lo vedesse oggi com'è ridotto, coi semafori che funzionano a tratti per via dei blackout. Del fatto che in Afghanistan, dove si bruciavano i libri e le persone, dopo "la bestia americana" si poté però persino organizzare un festival metal non ne parliamo, vero? L'11 settembre liquidato in fretta e pare piuttosto considerato "un errore tattico", A me questi ragionamenti fanno rabbrividire, perché sono gli stessi ragionamenti che chiudono le donne nel velo e dietro la cucina, e che contemporaneamente fanno credere alla donna stessa che ciò sia giusto. La Guerra dei Sei Giorni è liquidata con un tristissimo "E vabbé, li hanno aiutati i francesi, altrimenti". Arafat è ovviamente un grand'uomo.
Io non dimentico lo sguardo della donna nell'hotel di Baharia in Egitto, lo sguardo e basta ché altro non vedevo, dietro la grata della cucina, per un solo secondo. O la donna col Niqab che si faceva scattare una foto dal marito mentre abbracciava le figlie, in Marocco, e sembrava che le figlie stessero portando in discarica il secco. O che prima della "Primavera Araba", la "Rivoluzione dei Gelsomini", a Tunisi si vedeva allegria e tantissime belle donne mentre un anno dopo la "rivoluzione" c'erano fili spinati, mitragliatrici, a difesa della scuola femminile e le bambine (alcune velate) di questa scuola furono le uniche donne viste.
La cultura araba e i suoi popoli sono il "totalmente altro" di cui noi abbiamo bisogno, e che ci salverebbe dal confonderlo iscrivendosi a corsi Yoga e dicendo "Nanaste" senza criterio o disegnare mandala con Paint scaricati da Facebook. E' una mentalità diversa, ma attiva, ho visto bellissimi cervelli nei loro paesi ma rovinati come da una malattia generativa. Tuttavia sono belli, e le cultura profondamente diverse sono belle di per sé. Per questo ne abbiamo bisogno, ed è un peccato che loro non lo vogliano; seppure di noi avrebbero a loro volta bisogno, e forse ancora di più. 
Non capisco neanche se chi ha scritto la introduzione l'abbia letto.
Libro FALSO fin dal titolo che non serve né a noi né a loro. A pagina 30 di 77 ho gettato la spugna, di questa zozzeria non ho bisogno. Non è neanche scritto benissimo perché tende a essere piuttosto pomposo e prolisso, ma restando nella mediocrità narrativa tipica dei giornalisti.

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