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Gli scacchi sono dunque intelligenti?

Categoria: SCACCHI

KEYWORDS: filosofia | riflessioni | scacchi |
Inserito in DATA: 06/03/2024 | Vai ai COMMENTI
Partiamo dalla domanda: cosa si intende? Che per giocarci bisogna essere intelligenti? Che si diventa intelligenti giocandoci? Dirò anche subito la... le risposte: Alla prima no, alla seconda "ni".
Non bisogna essere intelligenti per giocare a scacchi: bisogna avere tempo, capacità di concentrazione, dedizione, attenzione, un pizzico di memoria. Capacità di sedersi e stare seduti almeno mezz'ora, che sia per leggere un libro, studiare una posizione, analizzare una partita o semplicemente giocare. Certo è che queste sono tutte cose che, solitamente, si associano agli intelligenti. O meglio, agli studiosi, i quali poi si pensa siano intelligenti.
Non si diventa intelligenti con gli scacchi. O meglio, si tiene in esercizio la mente con un'attività che connette la memoria alla visione, l'immaginazione spaziale, il calcolo mentale, spesso e volentieri porta a leggere impegnativi libri e a memorizzare molte nozioni. Queste sono cose che aiutano "l'intelligenza", sicuramente, ma non più, e a mio avviso spesso meno, di molte altre attività quali lo studio della musica, il suonare uno strumento musicale, e lo studio in generale di scienze fisiche e umane. Sicuramente più, però, di giocare a carte, a Pokemon, a Doom, di seguire influencers e youtubers e simili.
Se gli scacchi sono intelligenti, è da capire se il "dell'intelligenza" sottinteso sia genitivo oggettivo o soggettivo. Non penso che gli scacchi siano intelligenti di per sé, del resto sono un sistema completamente chiuso e chi ci si immerge impara semplicemente gli scacchi. Sono essenzialmente ricorsivi.
Cosa intendo dicendo che gli scacchi sono un sistema chiuso, ricorsivo? Intendo che imparando gli scacchi si impara solo a giocare a scacchi e quello che viene prodotto è comprensibile solo sapendo giocare a scacchi. Una partita a scacchi inizia e finisce lì, tra le case della scacchiera e gli scacchisti. Se suono uno strumento e creo una sonata, quella musica sarà fruibile e apprezzabile anche da chi non suona quello strumento, prova ne è che molti brani di musica classica sono amati anche da persone che non sanno suonare neanche il kazoo. La musica classica viene inserita in pubblicità, film, come sottofondo musicale in video espositivi o come semplice sottofondo musicale in conferenze, bar, sale d'attesa, e la gente comune magari non la capisce ma riesce ad apprezzarla. Molte opere d'arte come il David di Michelangelo o la Gioconda sono apprezzate anche da chi non è in grado neanche di intagliare un tappo di sughero per farne una barchetta. E' invece impossibile che qualcuno riesca apprezzare una bellezza come quella di una partita agguerrita di Tal o assurda di Diemer senza saper giocare bene o perlomeno conoscere tutte le basi degli scacchi. Infatti, gli scacchi finiscono nelle pubblicità solitamente come mero specchietto delle allodole, ti faccio vedere una pillola dal bel colore blu e metto un cretino a muovere un cavallo e subito l'idiota dall'altra parte dello schermo penserà "Ah, gli scacchi..." e l'associazione è fatta. 
Se qualcuno che non sa suonare neanche un tamburello dice che il tema delle Variazioni Goldberg di Bach è brutto, io penso che abbia dei problemi e pure seri; ma riuscirebbe ad esprimere un giudizio, anche se negativo, nei confronti della Steinitz vs Von Bardeleben? No. Magari potrebbe dire che non gli piace, ma in realtà intenderebbe dire che non lo capisce, e non intenderebbe la partita di per sé, ma proprio gli scacchi in genere. 
Un brano musicale, inoltre, si amplia: la gente può canticchiarlo sotto la doccia, riprodurlo con un altro strumento, farne una parodia, cambiarne il tono come quelli che suonano canzoni death metal con chitarre acustiche piene di eco e la faccia assorta; un artista può eseguirne una interpretazione, cambiarne delle parti. Per me Bach è Gould, ad esempio, e Beethoven mi piace senza troppa emotività come lo dirige Kletzki, posso amare la musica di Beethoven e posso amare pianisti che la interpretano, ma per quanto riguarda la Steinitz vs Von Bardeleben essa rimane e rimarrà sempre così, identica a se stessa da quando è stata giocata; è possibile cambiare i pezzi, usare un cavallo con una folta criniera o il set dell'Isola di Lewis, usare una scacchiera in marmo e i pezzi rossi al posto di quelli neri, ma tutto qua. L'ignaro di musica può dire che Chopin lo annoia e apprezzare Allevi che è la semplificazione assoluta popolare della musica classica, o quell'Einaudi che a me fa venire la peste nera ai neuroni, ma non per questo dirà che apprezza una partita di scacchi giocata da due principianti che hanno a malapena 300 punti Chess.com invece di una partita tra Karpov e Kasparov. Questa fissità assoluta degli scacchi è inquietante, e la pretesa che denotino un livello intellettuale superiore dei suoi protagonisti è assurda.
A guardare gli scacchisti, storici, famosi ma anche contemporanei, le loro biografie non testimoniano del resto a favore degli scacchi. Alcol e manie di grandezza imperversano con esagerazione inquietante e la follia ne è spesso la naturale prosecuzione o conclusione. Come disse Samy, il figlio di Akiba Rubinstein, a proposito della follia del padre: "Gli scacchi erano tutto per lui, e non credo che bastino a riempire una vita. Devi fare anche altre cose" (fonte Edward Winter, Gli Ultimi anni di Akiba Rubinstein).
Sinceramente, a guardare gli scacchisti se c'è una parola che mi viene in mente non è per nulla "passione", bensì "nevrosi". Essendo un sistema chiuso che nulla insegna che possa uscire dalla scacchiera, a parte dove diventa uno sport e quindi questione di puro montepremi in soldi, non si capisce come possa diventare un interesse così grande da portare molte persone ad abbandonare carriere potenziali o già in essere per manciate di statuette in un ripiano di 50cm di lato, se non tirando in ballo la nevrosi ossessivo compulsiva, tenendo conto che lo scacchista tipico pensa agli scacchi in qualsiasi momento della giornata, anche quando non dovrebbe e così più che un beneficio intellettuale diventano invece un elemento altamente limitante. Che lo studio degli scacchi possa avere utilità fuori dalla scacchiera e nella vita, ad esempio nell'informatica, nella psicologia, nello studio del linguaggio o nel marketing, è una cosa che in realtà non c'entra nulla con gli scacchi in sé, bensì col loro metodo, ma è più debitore dello scacchista che degli scacchi stessi. In ciò assomigliano molto alla filosofia, la cui impostazione mentale di studio risulta incredibilmente utile quando applicata a vari ambiti della vita quotidiana e lavorativa, mentre la filosofia rimane essenzialmente inutile. Solo che il filosofo può creare opere fruibili anche all'esterno della filosofia, come pure il musicista o il pittore; lo scacchista no, non produce nulla di fruibile fuori dagli scacchi. Restano partite di scacchi, libri di scacchi, aneddoti di scacchi. Che piaceranno solo ad altri scacchisti, e perlopiù bravi.
Interessante è il parallelismo che si può fare con l'ebraismo Ho detto che il metodo di studio filosofico può tornare utile, e il suo metodo è quello dell'analisi critica, dello studio comparato tra le fonti, dell'utilizzo della logica e dello studio del funzionamento e dei limiti del linguaggio. Tutto ciò può portare a scrivere libri di filosofia, che saranno opere fruibili da terzi, ma anche a lavorare in ambiti completamente differenti perché l'attenzione alla struttura, al ragionamento, alla verbalizzazione e alla consequenzialità logica acquisita dallo studio della filosofia (che non sia la solita storiografia marxista italiana) è un metodo applicabile anche alla psicologia, o alla contabilità, o al commercio, o al marketing, o alle risorse umane. Gli ebrei sono stati una fetta molto consistente dell'epoca d'oro degli scacchi: va considerato però che lo studio della Torah nell'ebraismo rispecchia proprio il metodo tipico della filosofia, studio, confronto, logica, comparazione. Non è la mnemonica dell'Islam, è parallela alla razionalità e alla tecnica, è uno studio che mira a svelare, è ermeneutica pura, ovvero è un esercizio intellettuale costante che comprende la memoria e il ragionamento; ereditando questo metodo negli scacchi ha sicuramente portato ad ottenere risultati. E' l'intelligente che porta lustro agli scacchi, non il contrario.
Se siete lettore di fantascienza avrete sicuramente affrontato qualche testo di fantascienza hard, quella branca dove la fisica e l'astronomia vengono utilizzate a livello pesante. Ecco, alcuni di questi romanzi però fanno un passo ulteriore e parlano in maniera tecnica e approfondita di teorie fisiche ed astronomiche che ancora non ci sono. Un universo fantasioso viene studiato ed esposto nelle sue regole, con teorie scientifiche, linguistiche, e via dicendo; viene creato un mondo fisico e viene quindi studiato ed esposto. Si imparano basi linguistiche inesistenti, teorie scientifiche fittizie, sociologia di popolazioni inesistenti e pure razze... Ecco, gli scacchi sono uguali, nella scacchiera c'è un mondo fittizio e gli scacchisti fanno teorie psicologiche, matematiche, fisiche, sociologiche ed astronomiche completamente inutili e ineffabili. Non per niente spesso negli scacchi si parla di metodo "scientifico" e di mosse e strategie che avvengono "per necessità". Ereditano dalla scienza il linguaggio, ma la base empirica non c'è.
Quello degli scacchi con l'intelligenza è un rapporto di debito, di dipendenza: per la loro natura esente dal caso, per il loro essere caratterizzati da regole di movimento dei pezzi così diversificate, per il loro alto numero di variabili di gioco e per la loro storia nonché per la loro teorizzazione, probabilmente attirano le persone con un livello di "intelligenza" più alto della media, ma ciò non è una regola. Il dotto, lo studioso, è portato a hobby dotti, quando studiavo filosofia leggere un romanzo come I Demoni era un diletto, uno svago, e La Montagna Incantata l'ho finito in tre giorni. Lo studioso ha una curiosità continua ed è abbastanza comprensibile che trovi a un certo punto interesse in un gioco che rispecchia la ricerca scientifica. Ci sono moltissime persone intelligenti, però, che non ci hanno mai giocato né ne hanno alcun interesse, e ci sono molte persone intelligenti che ne hanno espresso giudizi decisamente negativi.
Non mi sono sprecato a cercare più di tante informazioni in merito con fonti dirette ma i nomi che mi sono usciti in vari siti internet sono vari e prestigiosi e potete cercarli voi stessi o leggervi un articolo di unoscacchista.com.(magnifica la definizione di "spasso da gottosi" di Leon Battista Alberti, considerando che io sono un "gottoso"!) Diretta invece la fonte di nientepopodimeno che Albert Einstein che, buon amico di Lasker, introducendo una biografia sul grande scacchista si dichiarò dispiaciuto che un matematico (e un uomo) dalla fine intelligenza come Lasker avrebbe potuto dare molto al mondo della scienza decidendo invece di sprecare il suo tempo con quel gioco ripugnante. Ho letto un articolo piuttosto negativo di H.G. Wells, ho letto qualcosa in merito anche di Arthur C. Clarke; personalmente ho sempre trovato strano che Freud, ebreo ed appartenente a un periodo d'oro dello scacchismo, non li abbia mai presi in considerazione. E' comunque difficile trovare fonti sul web in merito a eventuali critiche, da un lato perché è sommerso da citazioni sugli scacchi dall'altro perché le critiche tendono a essere eluse; è come se un giudizio positivo venga inteso subito in senso obiettivo e uno negativo venga attribuito a una mera opinione personale. Ma questa non è per niente la questione da trattare, il punto è se gli scacchi portino intelligenza.
Il legame corretto non è dunque tra scacchi e intelligenza, piuttosto tra scacchi e intelligenti.
Un altro problema che sta emergendo in questi tempi, un po' "grazie" a una serie Netflix che non ho guardato né mi interessa farlo (tratta però da un bellissimo libro che sicuramente pochi scacchisti di oggi avranno letto): la secolarizzazione degli scacchi. Si sono diffusi moltissimo, e questo ha portato a giocarvi molta gente che mai vi si sarebbe rivolta. Molti mollano subito, altri continuano e così hanno cominciato a proliferare streamer, youtubers, divulgatori vari e via dicendo. Se già il legame fra scacchi e intelligenza è mancante e tra scacchi e intelligenti era flebile, questa nuova ondata sta abbassando ancora più la media. Non è più la belle époque della civiltà, quel magnifico periodo prima della guerra quando lo scacchista era una persona distinta e spesso acculturata, che ci ha lasciato magnifici aforismi ed aneddoti. Forse portarli un po' di più nel mondo reale ha aiutato gli scacchi, da sempre relegati all'ambito di "setta", ma ovviamente questo nuovo bacino di utenti non è entrato nel mondo degli scacchi per niente: lo vuole sbandierare, e il fatto che giochino a scacchi li porta a presumere anche di essere intelligenti sebbene a volte li senti parlare, o li leggi, e ti chiedi come siano riusciti a sopravvivere finora in questo mondo difficile in cui viviamo con così limitate capacità intellettive! Darsi agli scacchi per diventare intelligenti, sembrare intelligenti, o perché si pensa di essere già intelligenti sono tutte sfaccettature di questa leggenda degli scacchi come gioco intelligente, e contemporaneamente la alimentano.
In un gruppo Facebook al quale mi sono iscritto quando ho cominciato a giocare abbastanza seriamente gli scacchi un anno fa, ho avuto modo di apprendere che il rapporto tra scacchi e intelligenza è ancora meno incisivo di quanto già pensassi. Dopo 20 e più anni che gli correvo dietro ho dovuto riconoscere che ho scelto il momento sbagliato per rivolgermi a questo gioco. Gli utenti sono spesso superbi, sbruffoni, danno risposte al limite dell'offesa, il loro unico scopo nel gioco pare sia la vittoria o meglio l'accumulo di punti, ELO o online che siano, allo scopo di sbandierarli e sfottere, letteralmente, i principianti o chi agli scacchi vuole solo giocare un po' senza dannarvisi, senza considerarli la chiave di volta dell'intelletto. E' una continua gara a chi ce l'ha più lungo, per dirla in parole povere, dominata da eroi da tastiera che se poi pensi che tirano tutto questo casino per un gioco ti fa ricredere sul suo valore. Se chiedi informazioni su qualsiasi cosa la risposta tipica è che devi andare a un circolo, e puoi sprecarti a spiegare in italiano, tedesco, francese e friulano che alle 22:30, quando io finalmente mi libero, i circoli sono chiusi né io avrei molta voglia di recarmici con la sveglia che suona alle 6:30! Vuoi scrivere questa giustificazione? Be, vieni ridicolizzato e ti dicono di giocare a dama. Sinceramente neanche se avessi la giornata libera andrei in un circolo di scacchi; se voglio fare due tiri a basket dove obbligatoriamente iscrivermi a una squadra? Se voglio fare un giro in mountain bike devo iscrivermi a un team? Se voglio tenermi in forma con due pesi devo obbligatoriamente andare in palestra e fare gare?

Faccio notare, in chiusura, che la copertina che ho usato non è per niente casuale, poiché mostra due di quelli che io considero emeriti idioti che fanno finta di giocare a scacchi su una scacchiera posizionata pure male. Persone dai cui ideali, comportamenti e stili di vita dovremmo fuggire a gambe levate e che dovremmo nascondere ai nostri figli, usate in una pubblicità come simbolo di intelligenza. 
Ma quindi, perché ci gioco?
Perché li voglio insegnare a mio figlio?
Be, non sempre quando c'è odore di cacca, siamo dentro una fogna.
Chi vive come me in campagna, lo sa bene.
Reputo che siano un bel gioco, e che abbiano molti lati positivi, non proprio di per sé ma per via del metodo che richiedono.
Innanzitutto, richiedono studio, cosa non facile da insegnare ma magari, unendolo a un gioco che si, può essere anche divertente, aiuta. E gli scacchi sono in certo modo divertenti.
Il fatto che richiedano concentrazione, che richiedano la pratica ad immaginare mentalmente posizioni ancora a venire, che aiutino la memoria spingendo a ricordare le mosse fatte, e le posizioni che i pezzi possono raggiungere a seguito di diversi scambi o mosse, è sicuramente qualcosa di utile. E poi, come dicevo prima, ricado in quella categoria di persone che hanno passato anni a leggere migliaia di pagine per comprendere appieno il principio di non contraddizione o la teoria della verità e i V-Enunciati di Donald Davidson e quindi un gioco che ricorda il mio precedente passato di studioso non può non piacermi.
Ci sono altre cose che mi portano a considerare gli scacchi qualcosa di importante da insegnare a Simone.
Il fatto di abituarsi ad affrontare un gioco combattivo in cui nulla è casuale e in cui la sconfitta è data dai tuoi errori.
Il fatto che obbligano ad avere dei piani di attacco, a cambiarli, a sostituirli in corso d'opera, ad affrontare minacce che non avevamo immaginato, il tutto restando però immobili, seduti, silenziosi e calmi.
Il fatto che obbligano ad attendere le anche lunghe pause di riflessione del nostro avversario e che magari questi, di colpo, faccia una mossa che sconvolge tutte le nostre previsioni quando noi ormai eravamo sicuri di avere la situazione in pugno.
Il fatto che ti obbligano a pensare con metodo, a costruire strutture di mosse, a visualizzare sequenze anche piuttosto lunghe, ad allenare la memoria per memorizzare pattern e ricostruire posizioni e a prefigurare strutture differenti a partire da una data, strutture che devi immaginare per poterle affrontare. Il tutto a puro livello intellettuale.
Il fatto che sono molto legati alla nostra cultura ed alla nostra storia, e che possano portare a studiarne anche l'evoluzione, i contesti storici di determinati match e tornei, campioni del passato e gesta mitiche, creando una base culturale magari inutile nella pratica ma utile per tenere il cervello sempre incuriosito.
Il fatto che la loro struttura possa associarli anche se a livello metaforico al linguaggio, studio che io da sempre considero un elemento basilare della conoscenza.
Il fatto che studiandone la storia, ci si approcci inevitabilmente alle grandi sfide coi software scacchistici e quindi all'informatica, alle intelligenze artificiali, e in senso lato alle scienze in genere.
Il fatto che hanno obbligano a gestire, restando calmi e concentrati, l'emotività e il nervosismo nonché nonostante probabilmente, come alcune ricerche stanno mettendo in luce, un rialzo dei livelli di testosterone normalmente causati da attività fisiche.
L'utilità degli scacchi è dunque a mio avviso didattica, più che direttamente correlata al gioco.
L'utilità dell'insegnamento degli scacchi è dovuta al fatto che impongono metodo.
A concludere il tutto, quindi: SI, gli scacchi, in certo qual modo non diretto, sono intelligenti.
Studiare gli scacchi aiuta l'intelligenza, non gli scacchi in sé.
Sono intelligenti come lo è studiare filosofia: non serve a nulla, ma è l'essenza stessa della filosofia il non servire a nulla. Se ti laurei in filosofia, gli sbocchi diretti sono due: insegnare in una scuola, o fare un dottorato. Studiare la dialettica di Hegel non porta a nulla, studiare perché "l'essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere" non serve a nulla, che "l'essere si disvela nella radura dell'aperto" non è nulla più che una poesia, che cento talleri reali non aggiungano nulla a 100 talleri possibili è una questione che l'uomo comune ignora perché "cazzata". Eppure dallo studio della filosofia ne uscite con qualcosa di più: cosa? Difficile saperlo, per un semplice motivo: il cervello lo conosciamo, i neuroni li conosciamo, le sinapsi le conosciamo, ma la "mente" ancora non sappiamo definirla, di conseguenza non sappiamo neanche dirne con certezza cosa le serve, cosa la aiuta, come funziona e quali sono i suoi limiti. Sono cose che intuiamo e sospettiamo, ma nulla di più.
Certe sono due cose: fare attività puramente intellettive aiuta la mente, e la mente aiuta l'uomo nella sua vita. Allora perché non farle? Allora perché non ascoltare e studiare musica, studiare filosofia, fare rompicapi, suonare uno strumento e si, giocare a scacchi?
Oltre al fatto che sono un bel gioco, anche divertente a modo suo, e permettono di trascorrere mezz'ora di silenzio invece che a guardare la Grande Merda, ovvero la TV.
Certo è che se venissi messo di fronte a una scelta, tra gli scacchi e la musica preferirei che Simone optasse per la seconda. Classica, ovviamente.

Mi sono iscritto, negli anni, a molti gruppi di discussione (forum, mailing list, ora c'è quasi solo Facebook) a seconda della passione che avevo al momento: quando ho comprato la moto mi iscrissi a gruppi di moto per imparare strade, manutenzione, modifiche; mi iscrissi a forum e gruppi Facebook quando decisi di imparare a fare la birra in casa; recentemente mi sono iscritto al principale gruppo Facebook di scacchi in Italia. Chiaramente gli eroi da tastiera imperversano perché i gruppi sono luoghi di elezione per fare il fico e tentare di migliorare nel virtuale la tua vita, oltretutto sono quelli che scrivono di più con un incremento di visibilità che è sia lo scopo che l'effetto principali, la percentuale della loro presenza è dunque dieci volte tanta la percentuale del loro numero. Dio vi protegga dal fare questo passo riguardo gli scacchi, perché più che in un gruppo di scacchisti vi ritroverete immersi nel regno della assoluto saccenza... e, a mio avviso paradossalmente, mai avevo trovato un gruppo in cui fossero denigrati i libri, finché non ho affrontato il lato social degli scacchi. Con tutta la magnifica letteratura scacchistica che c'è non stupisce che molti di questi titoli siano ormai introvabili, anche se spesso (cosa piuttosto diffusa nei libri antichi) sono tali solo in italiano. Del resto l'Italia negli scacchi è povera, un caso non fa legge ma un "ma" io lo lascerei in sospeso. Quando dici qualcosa di sbagliato si alterano come se in un gruppo di scienziati stessi dicendo che non credi che la Terra giri attorno al Sole, e stiamo parlando solo di benedetti scacchi! Il loro parlare di "scienza" e di "necessità" vi fa riandare con la mente alle deviazioni degli estremisti religiosi più che alla magnifica razionalità della Tecnica. Ma non disperate, c'è sempre una perla che rimane intonsa anche in un letamaio, e si trova anche qui qualcuno che ancora gioca per puro diletto e ti fa capire che, anche se sei uno su un milione, non vuol dire nulla perché sei uno su un milione in un gruppo di persone che, semplicemente, giocano a scacchi, e nulla più. Perché è questo che sono gli scacchi: solo scacchi. Potete vivere, essere intelligenti, essere acculturati, o pure essere deficienti, persino essere pazzi alcolizzati e nevrotici, anche senza gli scacchi.
Gli scacchi sono intelligenti? Si. Fanno diventare intelligenti? Si, non c'è dubbio, richiedono studio, calcolo, fantasia, immaginazione, memoria. Tuttavia questa intelligenza è un'intelligenza degli scacchi. Ci sono tante intelligenze, ciascuna valida per il suo ambito. Si può essere intelligenti a scacchi e dementi nella matematica; pare che John Von Neumann ad esempio non fosse proprio bravo e a Go ancora peggio. Si può essere intelligenti nella musica, nella matematica, nella fisica ma completi idioti nella contabilità, nella produzione, nella riparazione o nei rapporti umani. Non c'è dubbio che Hitler o Speer fossero intelligenti, ma rimangono dei grandissimi bastardi.
L'intelligenza non è più un'unità di misura e i test del QI ormai sappiamo che dicono ben poco in ambito generale; un verme nella sua esistenze è intelligente, un calamaro pure. Confondiamo l'intelligenza con l'adattamento alle situazioni, all'ambiente, alla vita; è una parola che ormai possiamo riconoscere come inadeguata e faziosa, come è il verbo "essere".

Il grande problema degli scacchi - forse oggi? forse anche ieri? chissà - è il grande problema dello "sport" in genere, concetto troppo nebuloso. Con lo stesso termine si intendono i "giochi" che diventano strutturati, di solito in parallelo anche monetizzati, o i "giochi" che implicano uno sforzo fisico, un allenamento. Sebbene siamo soliti non intendere il cervello come un muscolo da allenare, quindi nel secondo senso gli scacchi sembrano non c'entrare (ma erroneamente, lo sforzo fisico a giocarci è in realtà enorme), nel primo caso è ovvio che, dati gli enormi montepremi che imperano sulle scacchiere dei grandi tornei, centrano l'obiettivo a pieno titolo. Tuttavia questo senso di "sport" toglie spesso valore all'altrettanto nebuloso concetto di "gioco" che solitamente è inteso come attività rilassante, laterale nella consueta vita quotidiana, dall'alto senso svagante spesso socializzante e sentito come costruttivo per l'individuo. Tutti i "giochi" che patiscono questa dicotomia "sportiva" si sdoppiano come in un gioco di specchi e lo stesso gioco diventa così "due" giochi quasi distinti. E' proprio questo senso "sportivo" di "gioco" che io aborro, ma è quello che - per via dell'adorazione del denaro - va per la maggiore. Da cui si può derivare la completa spiegazione dell'immagine di copertina che ho utilizzato, dove la scacchiera è pure messa male (l'angolo inferiore destro dev'essere bianco, non nero!).
Sotto questo aspetto, gli scacchi di sicuro non sono intelligenti.
Invece, richiedendo impegno, studio, diligenza, e follia, sicuramente sono per gli intelligenti. Sono anche incredibilmente "filosofici": richiedono meditazione e ragionamento puramente teorico e ricorsivo, richiedono prefigurazione mentale, richiedono metodo strategia e pianificazione; dalla loro hanno anche un immenso sottofondo culturale formato da centinaia di libri. Però di questo lato culturale nessuno se ne chiava, questa è la realtà.
Di certo, sono perfetti, oggi, per quei cazzi di influencers!

Per liberarsi da queste multimediali calamità (gli influencers), probabilmente è meglio rivolgersi al Go che, grazie alla sua banalità estetica (semplici pietre bicolore tutte uguali in una griglia anonima), alla sua complessità (che gli scacchi sembrano la tria, al confronto), alla sua mancanza di una struttura tecnica ripetitiva (mancano della violenza immediata delle combinazioni tattiche degli scacchi), al suo legame con una cultura totalmente aliena (il modo di prendere e disporre le pietre, ad esempio) sono, alla sua imprevedibilità (il concetto di "forzante" degli scacchi è, per quanto ho potuto vederne quando li avevo presi in mano, quasi assente o perlomeno ridotto), alla sua non conclusività (le partite non hanno solitamente una vera e propria fine come lo scaccomatto), per questi e altri motivi, molto meno adatti a farci dei video con montaggi fenomenali e frasi ad effetto. Oltre al fatto che non se li fila nessuno.
Io ho conosciuto il Go più di trent'anni fa grazie a un romanzo ambiguo (Quattro pezzi di giada di Eric van Lustbader) e a suo tempo feci fatica a capire cos'era, non c'era internet e in biblioteca si trovava nulla in merito, non ricordo come (forse grazie allo stesso libro) macinai le regole base e riuscii a farmi un'idea del gioco che poi ripresi in mano quando la vita di tutti noi fu rivoluzionata da Internet, ed è un gioco veramente meraviglioso ma molto estraneo (per i motivi di cui sopra) alla nostra cultura più estetica e meno estatica, il go è cerimonioso come la cerimonia del té, per gli occidentali invece cerimonia è più simile a "protocollo".
Contestualmente allo studio degli scacchi che ho iniziato sporadicamente a portare avanti poco più di un anno fa mi sono riavvicinato al Go ma in maniera blanda; non c'è molto materiale, come libri di introduzione al gioco ne ho trovati due, come documentazione online poca roba, non è diffuso ma, allo stesso tempo, data la semplicità della sua struttura e delle sue regole, è anche chiaro che non può esserci la mole di materiale tecnico che può esistere per gli scacchi.


Articolo iniziato il 17/09/2023


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