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Di libri, scrittori, lettori, e dell'Italietta

Categoria: PENSIERI

KEYWORDS: lettura | libri | riflessioni |
Inserito in DATA: 23/05/2018 | Vai ai COMMENTI
18 maggio 2010: ricevo il mio primo ebook, un BeBook One.
22 maggio 2010: finisco di leggere Alle 7 del Mattino il mondo è ancora in ordine
23 maggio 2018: muore Philip Roth
Quale giorno migliore/peggiore per pubblicare questo articolo, in bozza da mesi?

Sono un buon lettore. Mi piace leggere da sempre, fin da bambino. Sono anche un lettore variegato: mi piacciono i romanzi classici, la fantascienza, le biografie, la narrativa, prediligo l'americana e la fantascienza psicologica e non quella iper-realista, adoro i grandi classici dell'800 e del 900, gli antichi, la poesia, l'epica, in sintesi non ho un genere fisso. Sono laureato in filosofia di conseguenza mi piacciono i mattoni di filosofia (che però riesco sempre meno a leggere...) e da lì tutti quei libri grossi e assurdi non direttamente filosofici. Mi piacciono i libri di saggistica antropologica o etologica, nonchè come molti sono affascinato dall'astronomia e più di quelle decine di documentari che fanno vedere video stupidi di buchi neri, preferisco leggere libri che tentano di spiegare a grandi linee cos'è la meccanica quantistica o la relatività generale.
Sono in grado di leggere quasi di tutto, perché adoro leggere e non posso non farlo.
Leggo a caso, l'importante per me è farlo.
Se un libro non mi piace, di solito lo finisco lo stesso: sono veramente pochi, pochissimi, i libri che ho chiuso senza completarli. Può succedere che se un libro è una stronzata galattica io salti alcune pagine per arrivare alla conclusione, ma lo faccio con sistema: più che pagine salto righe, che scorro velocemente per essere sicuro di non perdere nulla. Ma, ripeto, è successo così raramente che la percentuale è penso sotto l'uno percento.
Questa mia passione per la lettura è così onnicomprensiva che, qualsiasi attività o hobby io scopra, devo leggerne dei libri.
Così è stato per la passione per le motociclette che mi ha portato a leggere sia libri tecnici sia diari di viaggio.
Così è stato anche per la passione per la pesca che peraltro trovo essere un'attività molto "librabile": sia a livello di romanzi, sia biografie, sia tecnica, è a mio avviso un'attività che si rende molto disponibile nei confronti di uno scrittore.
Mi ci sono buttato appieno comprando più libri che potevo: una selezione potete trovarla in questa pagina riguardante esclusivamente i libri con oggetto la pesca.
La riflessione di oggi mi nasce proprio da quest'ultima pagina: ho fatto fatica a trovare libri di questo tipo. Non ce ne sono molti, e la qualità non è sicuramente delle migliori. Tranne i libri degli americani (loro sono veramente un popolo di scrittori eccezionali!), per il resto non ho trovato chissà che cosa. 
Anche riguardo i libri tecnici in Italia c'è penuria: se diamo un'occhiata ai cataloghi americani, o inglesi, è tutto un altro pianeta.
Allora ho provato a chiedere consigli in giro, e la risposta è stata la solita: "La pesca non va studiata, va fatta sul campo".
Risposte simili le ho trovate spesso: riguardo la moto, riguardo gli scacchi, ora riguardo la pesca, tutti a dire "le cose vanno fatte, non lette".

Bene, da questa frase sentita troppe volte voglio partire: "NON BISOGNA LEGGERE, MA FARE".
Da questa convinzione geniale che in alcune cose leggere e studiare è inutile, quando non controproducente.
Da questa convinzione che bisogna prendere ed andare a chiedere ai vecchi.
"Chiudi il libro e vai sul fiume" oppure "chiudi il libro e sali in sella".
Da questa stronzata.
Ragazzi: leggete, perché non c'è nulla da perdere ma solo da guadagnare.
Leggete per un semplice motivo: allena il cervello, aumenta il bagaglio culturale, permette di interiorizzare le idee e di coltivarle e farle crescere, o crearne di nuove.
L'umanità ha cominciato a crescere quando è stata inventata la scrittura: le idee saltuarie con la scrittura hanno potuto trovare delle fondamenta su cui fermarsi e strutturarsi, e le idee successive hanno potuto trovare una struttura sotto di loro per ampliarsi.
Ciò che non è scritto vola via.
E' così in ogni cosa: se uno scienziato prima di fare gli esperimenti deve studiare miliardi di pagine, chi siete voi che potete farne a meno?
La cosa è semplice: se denigrate i libri e la lettura, siete semplicemente persone che non leggono e che presumibilmente non sapete farlo.
Non è da tutti leggere: bisogna imparare a farlo, e lo si fa leggendo.
Chi non legge mai non sa farlo: chi denigra la lettura sottolinea in maniera precisa e determinata la propria ignoranza.
Siete come quelli che difendono l'omeopatia e appena hanno un raffreddore si curano con il bicarbonato ma voglio ben vedere cosa succede se vanno in montagna: vanno a caccia e si vestono di pelli, o indossano il loro vestito in Goretex da 800 euro prodotto a partire dalla stessa chimica che ha creato le medicine, che hanno l'unico effetto controproducente per loro di essere efficaci?

Il punto è: "Se uno deve spiegarmi, che differenza fa a voce o meno?" - E' così scontato che il primo che becco che comincia a spiegarmi qualcosa, sia capace di farlo? Ed vi è veramente così chiaro che uno che parla è così diverso da uno che scrive?
Innanzitutto uno scritto non è interrompibile, e non c'è peggior nemico di un insegnante che uno studente che non sa ascoltare, e stare zitto.

Quando ero a scuola usavamo, durante un'interrogazione, la classica scusa: "conosco l'argomento, ma non so spiegarlo". Una delle migliori lezioni che mi diedero gli insegnanti fu che se una cosa non sai spiegarla a voce, in realtà non la conosci. E' così: rassegnatevi.
Se padroneggi un argomento, lo sai esporre in maniera completa e comprensibile.
Se un argomento pensi di conoscerlo ma non sai verbalizzarlo, come puoi pensare di conoscerlo? La parola è tutto: la conoscenza è parola. Lo dice anche il vostro stupido Vangelo...
E' chiaro che anche la "comprensione" è un problema perché, come si dice, ad insegnare all'asino non si ottiene nulla se non perdere tempo e infastidire la bestia. Ed è proprio per questo bisogna leggere libri, perché così si impara a leggere, ovvero si impara ad andare oltre la parola scritta per comprendere l'intera frase, il suo contesto, il suo scopo.
All'università mi sono laureato con una tesi sul filosofo Donald Davidson: questo filosofo apparteneva ad una corrente della Filosofia Analitica del Linguaggio per la quale la comprensione è interpretazione e l'interpretazione suppone un rapporto triangolare tra parlante, ascoltatore, e mondo. Ora nel caso di un libro si potrebbe dire che non c'è un parlante, che l'ascoltatore è in realtà un lettore, e che il mondo è un foglio di carta: questa obiezione attesterebbe nient'altro se non la stupidità di chi la difenderebbe. Il senso del rapporto triangolare è che una frase per essere compresa va interpretata: una parola non significa di per sé nulla, è un suono, un "proferimento", e va interpretata. Non ci credete? Invece è così, perché è il motivo per cui, quando qualcuno in una frase sbaglia un termine, noi di solito comprendiamo comunque l'intera frase che avrebbe dovuto dire.
Avete presente quelle vignette che condividete a migliaia su Facebook dove una frase è scr177a sb4g1iaNd0 term1n1 d k0n71nu0 eppure voi riuscite a capirla lo stesso? Bravi.
Quando si legge un libro la cosa è simile: per comprendere un libro bisogna riuscire ad uscire dalle parole scritte e ricreare il contesto che lo scrittore presupponeva, e l'intenzionalità dello scrittore nel buttare su carta le frasi: ricreare la triangolazione, interpretare le frasi, giungere alla comprensione. E' chiaro che se non si riesce a fare questo, è inutile leggere. Ma a questo punto sarebbe anche inutile parlare, e difatti al giorno d'oggi troppi parlano, e perlopiù a vanvera.
Tutti pronti però a correggere il più piccolo errore di grammatica su Facebook, dove perlopiù si scrive da cellulare o comunque senza prestare più di tanta attenzione. Eroi della tastiera, laureati "della strada"...

Io ho ottenuto solo benefici dalla lettura. Coi libri (pagine web stampate, manuale di officina, email) ho imparato a fare tanti lavori sulle mie moto senza nessuno a fianco che mi dicesse cosa fare. Tutto questo sono riuscito a farlo dopo aver frequentato un liceo scientifico di preti e un corso di laurea in filosofia prettamente teoretica comunque sempre teorica. Con i romanzi di fantascienza ho spesso potuto chiarirmi molte sfaccettature delle teorie scientifiche più importanti e difficili (leggete Fattore Tau Zero, ad esempio, per chiarirvi le implicazioni della famola "sigla" E=mc2). Con la narrativa ho imparato a tentare, ogni volta, di uscire dagli schemi concettuali popolari semplicistici che la vita ordinaria di tutti i giorni ti, inevitabilmente, impone.

Sfortunatamente in Italia, una nazione con una storia linguistica tra le più uniche al mondo, con una cultura letteraria invidiata e ineguagliabile, la lettura invece è in totale crollo. Un simbolo di ciò è stato il Nobel dato a Dario Fo e non al sommo Mario Luzi. Sicuramente la scelta è stata pietosa ma lì l'Italia (relativamente) non c'entra; pittosto è stato inquietante come tutti diventarono di colpo dotti citando il nome e i titoli dei "libri" di Dario Fo. Mario Luzi invece, ultima di una tradizione poetica tra le più dotte a livello planetario, nessuno lo cagò.
Tutti fieri della "vittoria italiana", del riconoscimento datoci, quando più che un riconoscimento fu una sconfitta totale perché Luzi non fu supportato come avrebbe dovuto, per il semplice motivo che l'ignoranza è generalmente sempre più forte. Fo compariva dappertutto in TV, nelle radio, nacquero aneddoti, e tutti erano fieri di lui e molti cominciarono a informarsi su di lui, lo sentivo citare dappertutto, nelle strade come nei bar.
Luzi non lo citava nessuno, dimenticato e spaesato uno degli ultimi grandi poeti morì così, senza riconoscimenti ufficiali, e forse fu anche meglio. Nessuno commentò il fatto che Luzi dichiarasse di non accettare più alcuna candidatura futura. 
Per la precisione: Philip Roth, morto oggi, non ha mai vinto un Nobel.

Oggi in Italia si parla sempre più di una inquietante e drastica diffusione degli ANALFABETI FUNZIONALI
Siamo quarti in classifica, dopo Indonesia, Cile, Turchia.
E' vero, è così. Capaci di fare tantissime cose utili anche a livello lavorativo, sono persone inutili alla crescita sociale. Non sono in grado di sollevarsi dai propri pensieri e dalla propria vita, assimilano idee passate dai mass media e non sanno neanche lontanamente cosa può voler dire "riflettere", non mettono in dubbio ciò che secondo loro è vero, non si chiedono se lo è veramente e perché lo sia. Sono bravi a non giustificare nulla se non con risposte che sono anch'esse mutuate dalle stesse idea assimilate passivamente.
Assomigliano a un computer che non riesce neanche a superare le candidature per un test di Turing, piuttosto che all'essere umano che quel computer dovrebbe smascherare.
Tra il loro, e un ragionamento vero e proprio, c'è la stessa differenza che c'è fra il capire che l'oggetto a forma di triangolo va inserito nel foro a forma di triangolo, e il gioco del Go.
Oggi tutta la conoscenza è a portata di mano: rispetto a non tantissimi anni fa ogni cosa è studiabile. Paradossalmente, questa vicinanza della conoscenza è inversamente proporzionale alla sua diffusione tra la gente, dove invece prende sempre più piede il preconcetto ingiustificato. 
Cito Umberto Eco, che oltre a scrivere il libro dal quale trassero il film Il Nome della Rosa, è stato anche studioso di semiotica tra i più noti al mondo: "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli".

La situazione è drammatica.
Ed apparentemente è senza via di uscita.

Oggi si parla sempre più di Paradosso dell'Ignoranza. Secondo me è uno degli articoli più illuminanti che ho letto.
Scoprire l'effetto Dunning Kruger è stata una cosa meravigliosa. La sintesi di questo fenomeno è: tanto minori sono le competenze, tanto minore è la coscienza stessa di questa mancanza. Citando dall'articolo de IlTascabile.it: 
Le persone pochissimo esperte hanno una scarsa consapevolezza della loro incompetenza.
È l’effetto Dunning Kruger: fanno errori su errori ma tendono a credere di cavarsela.
La prima cosa che una ignoranza colpisce, è la percezione stessa dell'ignoranza e questa perdita della percezione di ignoranza si trasforma, ovviamente, in una presunzione di sapienza.
Tanto maggiore è una incompetenza, tanto minore è la coscienza di questa incompetenza, tanto maggiore è la presunzione di competenza.
Questo è ciò che accade.
Sia chiaro: non si parla di competenza, o ignoranza, in senso assoluto, ma si parla in senso generico ovvero anche in base ad alcuni ambiti specifici. 
Si tenga comunque presente che l'effetto Dunning Kruger lavora anche al contrario: "i più competenti tendono a sottovalutare le proprie competenze". Questo effetto contrario, nella globalità di una società, gioca ancora più a sfavore delle competenze per cui, nel complesso, una reazione a una competenza è più timida da parte di chi la possiede, più forte da parte di chi la ignora.
Correlato dovrebbe essere l'effetto Lake Wobegon, inventato da un umorista mi pare: è un lago inesistente dove sorge una cittadina dove "tutti i bambini sono sopra la media". A pensarci, non è possibile: se c'è una media, come fanno tutti ad essere oltre questa media? Il senso è appunto questo, e in psicologia è stato appunto così chiamato: è la tendenza dell'essere umano a sopravvalutare la propria intelligenza e, di riflesso, quella di ciò che gli "appartiene". I suoi figli sono più intelligenti, i suoi cani pure, per uno scrittore i suoi libri sono migliori, per un hobbista la sua collezione è più curata, per un pianista lui è un esecutore migliore, e via dicendo. Forse per questo nascono le mode per qualcosa di originale, perché uno parte scegliendo qualcosa di anomalo, e dicendosi "Sono più intelligente perché sono l'unico che l'ho notato"?

Comunque, per farla breve:
1) perché si studia sui libri, e non solo oralmente?
2) perché i geni, gli studiosi, coloro che comunque contribuiscono in maniera significativa alla crescita di un gruppo sociale, sono di solito grandi lettori?
3) perché si insiste tanto sul fatto che leggere è importante?
4) perché in Italia, che è notoriamente un paese con una ignoranza diffusa, si legge poco?

Ci sarebbe un bel libro, una autobiografia peraltro, illuminante per esemplificare quanta soddisfazione dà un libro e quanto la lettura può fare per la propria crescita culturale. Si intitola Memorie di un Contadino.
Peccato che, ovviamente, in Italia non è più pubblicato da anni.
Lo trovate però tradotto in molte altre lingue.
Chissà perché?

Ricordate: i libri sono il primo bersaglio di un regime oppressivo.
Non è un caso: durante la lettura si assapora la libertà e dopo aver letto ne rimane una grande nostalgia.
I nazisti li bruciarono, i comunisti li vieta(-no)rono.
Cosa che ora succede nel mondo arabo (vd. questa pagina), e anche questo, per l'ennesima volta, non è un caso.


Grafico diffusione analfabetismo funzionale




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