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Un mese d'assenza e una bella Iridea, ma con finale amaro

Categoria: PESCA

KEYWORDS: pesca |
Inserito in DATA: 19/08/2017 | Vai ai COMMENTI
Sono in piena astinenza.
Sono stato in ferie a Fazana, vicino Pola. Volevo anche portarmi la canna, ma poi sono stato costretto ad abbandonare l'idea. La moto sarebbe già stata carica a sufficienza, e portare la canna avrebbe comportato solo problemi: pesi, ami, girelle, filo di ricambio, galleggianti, piombini... E il problema esche, ovvero vermi camole e simili bestie oltretutto per il mare. Stiparle nelle valigie laterali della moto, con l'ondata di caldo di quei giorni, avrebbe voluto dire arrivare a destinazione con le valigie piene di cadaveri e di olezzo di verme morto.
Quando sono tornato ero dunque in astinenza, avrei voluto fare subito una battuta di pesca il primo giorno ma per tutta la settimana sono stato incasinato sul lavoro fino a tardi. Sabato in pausa pranzo però non reggo più e decido di andare a fare una scampagnata solitaria sul Corno.
Il tempo era anche coperto e poteva essere una giornata proficua.
Arrivo al solito posto, armo la canna, svesto il casco e indosso il cappello da combattimento, e parto. Ci vuole poco, però, per capire che il solito posto è morto: poca acqua, pochissima, e le uniche cose che ci sono in acqua sono immondizie.
Risalgo in moto con la canna e parto per un altro posto che avevo addocchiato tempo prima, ma anche lì c'è poca roba e la vegetazione è disfatta. Mi colpisce la devastazione portata dalla terribile tromba d'aria che si è abbattuta da queste parti la settimana scorsa mentre io ero a Fazana e ne subivo solo la coda: decine e decine e decine di alberi schiantati. Quelli sulle stradine sono stati tagliati ma il letto del torrente ne è in molto punti invaso.
Non scendo neanche dalla moto, constato la fine di quella simpatica buca e mi sposto in un altro punto, parcheggio la moto e per tre quarti d'ora circa vago lungo gli argini scrutando l'acqua e provando a fare qualche lancio quando individuo qualche zona in cui io, se fossi una trota, mi rifugerei, come mi hanno detto di pensare. Niente di niente. L'acqua è poca, quasi finita, si sente bene la siccità e qui a valle si sente anche l'acqua aspirata per irrigare i campi, e il torrente è in agonia e prossimo alla sua fine.
Non vedo neanche ombra di cavedani, e questo mi inquieta più di ogni altra cosa.
A questo punto mi trovo con le spalle al muro, qualcosa vorrei pur sentire tirarmi il filo cazzo!
Devi ripiegare.
Sono pescatore da pochi mesi ma una cosa l'ho già capita: se qui in pianura vuoi sentire qualcosa, o ti butti sui cavedani, o vai dove c'è possibilità di trovare qualche trota e questa seconda alternativa significa andare in prossimità di qualche allevamento dal quale saltuariamente qualche trota fugge e cresce e se sei fortunato la puoi anche beccare.
Il cielo è grigio, arrivo nella mia ultima postazione e, dall'erba nel terreno e dalle tracce di alghe, capisco che anche qui ben pochi ormai vengono. Il pesce è sempre più raro e i pescatori stanno perdendo pian piano le speranze.
Molti danno colpe solo, o principalmente, all'ETP. Io sono troppo giovane di licenza per pronunciarmi in merito, di certo è che in un torrente in questo stato mollare una trota o degli avanotti sarebbe veramente da irresponsabile, se non da completo idiota. Il torrente porta a valle rifiuti di ogni tipo, plastica a volontà, ma sulle sue sponde si trovano decine di scatolette di esche e buste di ami, per cui meglio tacere e lasciar perdere le discussioni.
La cosa buona è che sono da solo, il cielo è sempre più grigio, mi calo un po' il berretto e faccio qualche lancio nella zona classica per valutare se è avanzato qualcosa sottacqua e smollare un po' il mulinello: niente di niente. "Se non beccano qui - penso - potrei ben andarmene a casa".
Ma mi piace così tanto questo tempo che comincio a fare una passeggiata lungo il canale di sfiato dell'allevamento, facendo qualche saltuario lancio nelle rare buche che ci sono fra le alghe, alghe che mi hanno detto essere sbucate negli ultimi anni per la totale assenza di cure del canale e per i concimi strani che buttano nei campi. Bo, lascio ad altro anche questo losco affare, e mi concentro a spiare la buche a valle per poterci lanciare il mio verme, uno dei pochi rimastimi che quindi devo trattare con particolare accortezza.
In una zona che per me è nota vedo un'ombra. Mi porta pian piano a monte, senza far rumore e movimenti bruschi per non farmi vedere dal pesce che, se non lo sapete, è si muto ma di certo non è cieco. 
Non ho ben capito che cosa sia, sono con gli occhiali da vista e quindi vedere sotto i riflessi dell'acqua che scorre non è facile e di mezzo c'è anche vegetazione. Valuto la situazione, ma è dura perché tra me e lui ci sono piante che mi rendono rognosa l'operazione e con la mia canna corta (da trasporto moto!) non è facile arrivare lontano dall'argine. Le alghe rendono anche difficoltosa la discesa dell'esca lungo la corrente, ma ci provo. Faccio un lancio e combino un casino totale col filo che si ingarbuglia in un rametto e l'amo che vi si attacca e io che bestemmio; quando riesco a liberare il tutto sospetto che il pesce sia fuggito ma, fortunatamente, la buca è ben più lontana di dove pensassi ed è ancora lì, il bastardo.
Cambio peso, ci vuole uno più leggero per far si che la corrente lo trasporti più giù verso il pesce mentre io me ne sto più su nascosto. Sono pronto. Devo farcela al primo lancio, altrimenti farò rumore e sarà tutto finito, ovviamente sperando che non sia un cavedano ché quelli il verme sull'amo non se lo cagato proprio.
Lancio, e mi stupisco di quanto bene riesco a far finire il verme e il peso in una buchetta attigua e perfettamente in armonia con la corrente tant'è che quasi non smuove l'acqua e si infila con grazie e tranquillità. Comincio a mollare un po' pian piano il filo ad occhio, perché ormai non vedo più la mia esca e spero solo che finisca dalle parte del pesce. Comincia a gocciolare. Mollo ancora un po', quindi lo smuovo leggermente e lo rilascio andare.
Mi spavento quasi appena sento il morso vorace e feroce e il filo che scatta, mi alzo a guardare e vedo netta la sagoma del pesce che fugge e la sua pancia rilucere nel grigio dell'acqua che rispecchia i nuvoloni in cielo che ormai stanno cominciando a scaricare acqua, ma non mi frega nulla: l'ho preso, e ora devo riuscire a non perderlo o peggio ancora a non rompere la lenza condannandolo a morte. Scatta da tutte le parti, tira incredibilmente e non la vedo più ma sicuramente è una bella troterella. 
Cazzo se tira.
Sento il filo andare verso l'argine oltre il cespuglio dietro al quale si svolge la battaglia tra il pesce e l'amo; il verme l'ha sicuramente già persa, poveraccio. Non devo farla andare troppo verso l'argine perché rischio mi si ingarburgli il filo nella vegetazione, per cui mi sporgo a rischio di cadere in acqua, per allontanare la canna e guidare il pesce e recuperando riesco ad avvicinarlo: lo vedo saltare, è bellissimo, ma sinceramente per quanto tira avevo immaginato una misura ben più grande. Dev'essere tutto muscolo. E' una Iridea. Abbasso la canna e recupero ancora e ce l'ho quasi a riva ma ha uno scatto fulmineo e mi fa ripartire la frizione e devo lasciarla fare un po' perché sono senza guadino (sinceramente pensavo non avrei preso proprio un cazzo) e l'acqua è troppo bassa per arrivare con le mani e slamarla. Sta andando dall'altra parte del canale per rifugiarsi sotto ad altra vegetazione ma stringo in po' e giro la canna e la faccia andare dalla parte opposta, alla mia destra.
Piove bene, ormai, la superficie è tutta increspata dalle gocce e dalle contorsioni della trota. Sento il gilet bagnato, il cappello da guerra vietnamita sebbene buffo, è stata una scelta saggia soprattutto per me che ho gli occhiali, perché salva le lenti dalle gocce d'acqua, e mentre io mi ricopro d'acqua la trota lotta per non uscirne con tutta se stessa.
Alla fine, però, le forze la lasciano e pian piano la sento mollare la presa, ho già stretto la frizione e ormai penso di aver vinto. La tiro a riva, valuto che non riuscirò a raggiungerla con la mani in acqua per lavorarci a liberarla per cui la sollevo con la canna appoggiandola a riva; da come si è dibattuta senza liberarsi, tenendo conto che uso ami senza ardiglione, so già che il suo destino è segnato ma ci provo. La tengo con un asciugamano e vedo che l'amo è piantato saldamente così in fondo che neanche col dito ci arrivo, vado con lo slamatore ma è dura perché è molto a fondo.
"Mi dispiace trota, avrei voluto liberarti, ma così come sei messa sarebbe farti una tortura" e così decido la sua sorte con una mazzata sulla testa, una sola mazzata e smette di muoversi anche se già si muoveva poco: la lotta l'aveva stremata. E' probabile che, anche rilasciandola, sarebbe deceduta poco dopo.
Come bestia non è male, saranno una quarantina di cm ad occhio. La osservo con un po' di tristezza perché mi sarebbe piaciuto liberarla di nuovo, ma non potevo farci niente e un pescatore se non mangia parte del suo pescato non è un pescatore; bisogna anche avere il coraggio di uccidere il pesce, e non nascondersi come pirla dietro al sentirsi ecologisti e ecosostenibili solo perché si libera un pesce dopo averla infilzato con un amo, averlo fatto lottare al limite dell'infarto, e averlo magari anche strofinato per bene contro oggetti che di solito in acqua non vede. E' una delle lezioni più corrette che si possono togliere dal grazioso ma superficiale libretto di Marziani - Il pescatore di tempo 
Compilo diligente la licenza segnando l'uccisione, metto la bestia nel sacchetto e poi nella tasca nella schiena, butto in acqua il verme maciullato e faccio un'altra oretta di pescata ma senza sentire nient'altro se non il suono dell'acqua che scorre nel canale e gli uccelli.
Quando arrivo a casa pesco la trota: sono 420 grammi. Con quella che ho già in frigo una sera di queste una cenetta viene fuori, ma ora c'è il secondo lavoro del pescatore. La rimetto dritta liberandola dal rigor mortis, la impugno e dalla salma (un cadavere lo era prima, quando comincia l'operazione, come anche per l'uomo, diventa "salma") esce della merda che mi mbratta la mano. La lavo, infilo le forbici nel buco del culo e la sventro per tutta la lunghezza, tolto le interiore e le metto in una terrina, quindi lavo bene l'interno togliendo tutto il sangue coagulato sulla spina dorsale, la squamo un po' alla buona liberandola perlopiù dal muco, quindi le taglio la testa. E' pronta: la infilo in un sacchetto e poi nel freezer. La mia morosa è stata molto decisa nei suoi insegnamenti su come pulire la bestia.
A questo punto nella terrina ho un sacco di porcheria che, se finisce nel bidone dell'umido, in due giorni mi farà un sacco di cudui per cui improvviso: come un serial killer faccio a pezzetti tutto quanto, anche la testa. Ottengo una terrina raccapricciante piena di interiora e denti e occhi e pinne, e butto tutto nel cesso.
La giornata è finita.
E' stata una bellissima lotta sotto la pioggia, ed è stata ovviamente una specie di vittoria di Pirro ma pur sempre una vittoria.

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