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Jon Krakauer, Aria Sottile, l'Everest e il bisogno di scoprire dell'uomo

Categoria: LIBRI

KEYWORDS: libri | pensieri | riflessioni | scrittori |
Inserito in DATA: 30/03/2016 | Vai ai COMMENTI
Ho appena finito di leggere il magnifico libro Aria Sottile di John Krakauer, che narra una scalata all'Everest trasformatasi in disastro, in tragedia, con un totale di 12 morti e qualche menomato. E' narrata in prima persona, perché Krakauer era inviato da una rivista per partecipare a quella spedizione e parlare della commercializzazione dell'Everest e degli ottomila in genere. Si salvò letteralmente per caso.

In realtà questo post è lo stesso quasi identico che trovate nella recensione del libro per cui, se l'avete già letta di là, allora qua non avete nulla da fare di nuovo.

Allora, parliamo intanto dello stile: è buono. Krakauer è bravo come scrittore, lo si capisce bene anche se a me lo stile giornalistico non piace. La sua impronta, come in Nelle Terre Estreme, è il giornalismo investigativo ovvero mentre narra fa anche un'investigazione per capire di più cos'è successo, il perché di molte azioni soggettive, la psicologia semplice che ha dominato gesti e così creato il fatto in sé. Siccome non ho stima per il giornalismo, non posso apprezzare questo modo di lavorare. Ma è un discorso soggettivo. Oggettivo è invece il fatto che Krakauer è un ottimo scrittore.

Delinea bene l'ambiente, la storia da principio è avvincente ancora prima che arrivino in Nepal, le personalità emergono reali, realistica è tutta la narrazione senza esagerare nella descrizione dei fatti, né in un lirismo piatto che tanto è diffuso oggi. Non vuole fare lo psicologo, ma neanche molto il figo. Si capisce subito che, nella realtà, quell'avvenimento l'ha segnato.

Molto, molto, molto bene emerge l'altitudine: l'aria sottile, appunto. Aria sottile che significa poco ossigeno, ma anche radiazioni solari, e anche perdite delle facoltà cognitive continua e sistematica. Attorno a tutto ciò si muove la tragedia, attorno a ciò si possono poi tirare le somme sugli eventuali giudizi e/o colpe da dare ai partecipanti.
E qui ora passiamo al secondo lato del libro: la storia, che ovviamente in questo caso non è giudicabile in base alla trama, perché è una storia vera e se la trama non vi piace non è sicuramente colpa dello scrittore, ma vostra. Oppure di Dio.

In passato avevo già letto un libro su una tragedia simile, ovvero Giorni di Ghiaccio di Marco Confortola, e il mio giudizio è stato assolutamente negativo. Certo è che Confortola non è uno scrittore, e il valore di uno scrittore non è solo raccontare una storia, ma comunicarci le emozioni e la situazione nel suo complesso. Leggendo Confortola, non si può non rimanere disgustati; leggendo Krakauer, invece, si evince il perché non bisogna semplicemente rimanere disgustati.

Sono situazioni estremamente al limite del sopportabile, e totalmente fuori dalla mondanità della vita quotidiana.
Di certo c'è che, se pensiamo a con quanta facilità mettiamo a rischio la vita di altre persone correndo troppo in auto, telefonando mentre siamo alla guida, o non rispettando le normali sicurezze manovrando un'arma, cose che sono ovvie ma che molti per semplicità non prestano attenzione e poi ci scappa il morto e tutti dopo a dire semplicemente "Mi dispiace" quando bastava stare attenti prima... Di certo, insomma, c'è che se facciamo mente locale a quanto facilmente una persona qualunque può uccidere volontariamente o meno un'altra persona, allora il discorso di ciò che accade quando i livelli di ossigeno non bastano nemmeno per giocare a morra cinese cambia totalmente. E questo è ciò che riesce a comunicarmi Krakauer. Riesce a farlo perché è un bravo scrittore, Confortola no, e sta qui la differenza "morale" tra i due libri.

L'aria sottile cambia le carte in tavola, come un baro.

C'è da valutare la spinta innata nell'uomo di esplorare, vedere, provare: come milioni di anni fa siamo partiti dall'Africa per raggiungere ogni angolo del pianeta, come poi ci siamo rimessi in cammino per arrivare nelle Americhe, in Australia e rifare i passi dei nostri antichi antenati, come spendiamo miliardi per portare una telecamera ai confini del sistema solare o nelle profondità degli abissi, così scaliamo montagne.

Riguardo le motociclette, io dico sempre "Se si ragionasse solo a livello razionale, le motociclette non esisterebbero neanche perché nessuno le comprerebbe". Ma così tante altre cose: le auto potenti, armi, coltelli affilati, edifici alti, e via dicendo. E probabilmente, se si ragionasse solo a livello razionale, ci saremmo estinti molti millenni fa. O perlomeno la nostra specie non sarebbe ciò che è oggi.

Aiutare qualcuno che sta morendo congelato mentre siamo ad ore di scalata dallla tenda più vicina e in una situazione fisica al limite del critico, non è una scelta molte volte percorribile. Non è che puoi caricarti in spalla uno che ha le mani che si staccano per il ghiaccio e che già nella migliore posizione in cui si trova non riesce a respirare, figuriamoci con la cassa toracica schiacciata contro la nostra spalla. Di certo gli eventi del libro colpiscono come un pugno diretto contro il fegato. Lo ammetto che ho dormito poco in questi giorni: leggevo fino a tardi, e il mio già normalmente tormentato sonno era ancora più esasperante sicuramente a causa di questo libro. I piedi verdi di "Green Boots" mi sono comparsi in sogno e la posa quasi naturale di quel cadavere che pare dormire stanco mi tormentano incessantemente da giorni.

Siamo fatti così: perché? Non si sa. C'era un interessante servizio in merito su un National Geographic di qualche anno fa, riguardo la tendenza dell'uomo ad esplorare, ricerca, senza un "cosa" che in realtà non è più di tanto importante. Se c'è un ignoto, noi dobbiamo buttarcisi. Nel lavoro prendiamo scelte che portano verso un interrogativo, nella vita di coppia pure, nei giochi anche, se c'è una regola bene o male la evadiamo, se c'è un muro lo sfondiamo. Siamo fatti così.

Ne avevo già parlato a proposito dell'esplorazione spaziale e della Missione di Samantha Cristoforetti sulla Stazione Spazial Internazionale: a cosa serve? In realtà non è questa la domanda giusta. La domanda è: perché no? Anzi: e se non lo facessimo?

La risposta migliore, sempre tolta dal libro di Krakauer, risiede in una celebre intervista a George Mallory, uno tra i primi a tentare la scalata all'Everest. Scalata peraltro simbolica di tutto ciò che accade tuttora là sopra; Mallory, infatti, poco prima di raggiungere la cima scomparve dalla vista di chi lo teneva d'occhio a causa di una nuvola che coprì la sommità dell'Everest. Quando la nuvola si diradò, di Mallory non c'era traccia, e solo molti anni dopo si scoprì il suo cadavere (mai però quello del compagno Andrew Irvine), in prossimità della vetta; tuttavia la posizione del cadavere non lasciava capire se stavano salendo, o scendendo, per cui non si potè dire se la vetta era stata raggiunta e lui non è dunque considerato il primo uomo a raggiungere la vetta dell'Everest.
Ritornando all'intervista, quando a Mallory chiesero perché voleva scalare quella montagna lui, semplicemente, rispose: "Perché è lì", "Because it's there".

Perché esiste.

E' una motivazione più che valida, e che non accetta alcuna obiezione.

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